Stranizza d'amuri: la recensione dell'opera prima di Giuseppe Fiorello con Samuele Segreto e Gabriele Pizzurro

22 marzo 2023
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L'estate del 1982 in cui in riva al mare di Sicilia due adolescenti diventato inseparabili, mentre l'Italia si fa strada nei mondiali di calcio. Stranizza d'amuri è l'opera prima di Giuseppe Fiorello. La recensione di Mauro Donzelli.

Stranizza d'amuri: la recensione dell'opera prima di Giuseppe Fiorello con Samuele Segreto e Gabriele Pizzurro

Non ti scantare. "Non ti preoccupare", ma anche molto altro in siciliano. Una frase manifesto, rassicurante solo in apparenza, insidiosa se utilizzata per uno scappellotto, ma capace di assumere in sé l’atmosfera soffocante di un’intera mala attitudine, di una paura omertosa di scardinare rapporti di forza malsani. 

La Sicilia degli anni Ottanta, quella in cui è cresciuto Giuseppe Fiorello, fa da sfondo, e i suoi accenti fanno da colonna sonora, senza troppi compromessi o concessioni all’italiano solo sporcato da qualche parola autoctona, richiedendo un certo sforzo allo spettatore. Del resto, Stranizza d'amuri è un film nato per il cinema e quindi impone una visione più attenta rispetto a quella distratta che incombe sempre di più fra televisione e piattaforme, quella in cui Fiorello è più frequentemente protagonista.

Questa volta non c’è davanti alla macchina da presa, ma esordisce alla regia con una storia prima letta una dozzina d’anni fa e poi cresciuta fino a diventare un’ossessione personale, e forse anche una maniera per ritornare indietro sui suoi passi, per provare a far crescere qualcosa di diverso sulle sue radici, magari risarcendo due giovani vittime dell’odio subito nel 1980. È infatti la storia vera di Toni e Giorgio, a cui il film è dedicato, due adolescenti di Giarre ad avere ispirato questa storia, girata per discrezione a qualche chilometro di distanza, fra Pachino e Noto, lungo scenari splendidi e spesso rovinati da un piccolo particolare, da una stortura paesaggistica e sociale che spezza l’incanto di un contesto da sogno. 

La storia insiste sulle duplici vicende che si avvicinano di due ragazzi, che qui diventano Gianni e Nino. Il primo è bullizzato da una gag di perdigiorno del bar sotto casa nel suo paese. Viene considerato una femminuccia, mentre la madre sopporta un compagno violento pur di avere un tetto sotto cui vivere e un lavoro da dare al figlio, come aiuto in un’officina. Una famiglia sbrindellata e nervosa, in cui la tensione di un passato arriva a insozzare anche la quotidianità del presente. Invece quella di Nino è una famiglia che abita in mezzo alla campagna, numerosa e protettiva, calorosa quanto in preda alla tensione costante fra litigio e abbraccio riparatore. Una famiglia da fuochi d’artificio, letteralmente, visto che il padre di famiglia, con Nino ormai avviato a diventare qualcosa di più che suo assistente, si sono fatti un nome proprio per i colori e i disegni dei fuochi con cui allietano le feste paesane.

Nino e Gianni si incontrano e si amano, nel senso più pieno naturale e puro, sono sempre insieme nel corso di un’estate assolta, quella del 1982, mentre l’Italia si fa strada nei mondiali di calcio e l’amore privato vorrebbe andare a braccetto con quello di una nazione intera pronta a festeggiare in strada. Una storia sul pregiudizio cieco e insopportabile che forse ci illudiamo appartenere al passato, talmente contro natura - questo sì - da trasformare l’amore assoluto di un genitore per un figlio in furia cieca solo per dei sentimenti provati per qualcuno invece che per qualcun’altra. Fiorello non ne fa un film didascalico, in cui la militanza rischia di banalizzare la specificità della storia raccontata. Privilegia la sobrietà e l’invenzione, anche allontanandosi dalla vicenda reale, per costruire personaggi in carne, ossa e sentimenti, in un contesto umano e la soffocante presenza di un’atmosfera odiosa ma ancora ben viva in alcuni ambienti.

Stranizza d'amuri ha qualche inciampo di messa in scena e lunghezze figlie però di una purezza e generosità di racconto sostenuta da una solida sceneggiatura e interpretazioni riuscite, anche da parte dei giovani protagonisti. Era amore, non voleva e doveva essere nient’altro. Normalità, senza scantarsi.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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