Spellbound - L'incantesimo, la recensione del cartoon originale Netflix, firmato Skydance Animation
La Skydance Animation di John Lasseter rilegge la tradizione disneyana per una fiaba musicale con principessa, apparentemente tradizionale. La nostra recensione del film di Vicky Jenson ora su Netflix.
Ellian è la principessa del regno di Lumbria: non si può godere la sua adolescenza perché, all'insaputa dei sudditi, i suoi genitori sono da un anno trasformati in mostri da una maledizione! I consiglieri Bolivar e Nazara sono sotto stress, ma intravedono la soluzione: rendere l'ormai matura Ellian la nuova regina. Quest'ultima non accetta l'idea di responsabilità insostenibili, e invoca Luno e Sunny, due creature che possono conoscere il modo di annullare la maledizione e far tornare normali mamma e papà.
Un pezzo di Disney si è staccato ed è caduto in un originale Netflix. La sensazione che Spellbound - L'incantesimo crea nello spettatore è esattamente quella, dalla direzione artistica all'atmosfera della storia, dal character design alla struttura da musical animato. E non è solo una sensazione: il direttore creativo della giovane Skydance Animation è l'ex capo della Pixar e dei Walt Disney Animation Studios, John Lasseter, che ha portato con sé per questo progetto le musiche e le canzoni di Alan Menken, la produzione di Linda Woolverton, la supervisione degli storyboard di Brian Pimental. Forse i nomi vi dicono poco, ma le loro carriere costituiscono le fondamenta del Rinascimento Disney degli anni Novanta, quello che decollò con La sirenetta. La regia invece è di tradizione DreamWorks, perché Vicky Jenson aveva codiretto il seminale primo Shrek e Shark Tale. Questo talento veterano è stato messo alla guida di artisti e artiste iberiche, ex-dipendenti degli Ilion Animation Studios, ribattezzati Skydance Animation quando la major ha deciso di dotarsi di una branca animata e li ha acquisiti.
Si potrebbe dire che con Spellbound la Skydance Animation riparta dal via, dopo la falsa partenza con Luck di Peggy Holmes, invece realizzato un paio d'anni fa per Apple TV+: generoso, pieno di idee, ben coreografato nelle singole sequenze, ma poco coeso e un po' faticoso. All'opera seconda riscontriamo per fortuna una maggiore nitidezza e una barra molto più dritta: Vicky Jenson, coautrice del soggetto poi sceneggiato da Lauren Hynek & Elizabeth Martin (già sul copione del remake di Mulan), ha voluto dare il proprio contributo a un viaggio iniziato una decina d'anni or sono, proprio in casa Disney. La fiaba classica musicale animata già venne scardinata dal primo Frozen: gli stereotipi vennero scossi, all'insegna di una visione contemporanea dei rapporti familiari e sentimentali.
Spellbound prosegue questo "tagliando", con un incipit che ribalta le aspettative: non c'è un'adolescente ansiosa di diventare grande e ribellarsi ai genitori. Ellian vuole procrastinare la sua maturità, non ha alcuna fretta di mostrare leadership (l'opposto della Vaiana degli Oceania) e soprattuto non si vuole staccare dai suoi genitori, pur irriconoscibili, così lontani dagli anni più cari dell'infanzia. È assai difficile parlar bene del crescendo di Spellbound senza cadere in imperdonabili spoiler: scriviamo soltanto che la causa del maleficio ha una forte valenza metaforica, molto adatta ai tempi, coraggiosa, invitando a non dare mai gli affetti profondi per spacciati. E il senso poetico dell'operazione è ribadire la forza della fiaba classica, per consolarci delle imperfette vite reali: "un diverso tipo di lieto fine", recita la tagline del film.
Per riuscire nella sua missione svecchiante della tradizione, Spellbound però gioca a carte forse sin troppo scoperte e ortodosse con quell'approccio ultraclassico del cartoon hollywoodiano. Per quanto il terzo atto fornisca un livello di lettura più solido a ciò che abbiamo visto sino a quel momento, le fattezze dei personaggi, l'uso del colore, l'animazione (comunque ottima), le gag slapstick o verbali, seguono senza troppa inventiva le regole non scritte del genere, da trent'anni a questa parte. Manca a monte un'idea forte e iconica come lo sdoppiamento della principessa nei Frozen, e anche la struttura da musical non rimane particolarmente impressa: con il curriculum di Alan Menken, ci si aspetterebbe pezzi più memorabili, e con il Glenn Slater qui paroliere ci è sembrato avesse lavorato in modo più fresco in Rapunzel. In ogni caso la versione italiana si difende bene con Gigi & Ross (Luno e Sunny), Arianna Craviotto e Sissi (Ellian parlato e canto)... e benissimo con Massimo Ranieri per Bolivar: la sua duttilità vocale ci mancava, dai tempi ormai lontani del Gobbo di Notre Dame.
In definitiva, al secondo giro la Skydance Animation si conferma uno studio da tenere d'occhio, alla ricerca di una quadratura del cerchio: Luck era originale ma sovraccarico, Spellbound è molto a fuoco e chiaro, però incuriosisce meno. In ogni caso anche questo film mostra che Lasseter e i suoi collaboratori non vogliono soltanto timbrare il cartellino con i soldi delle piattaforme, ma vogliono mantenere in vita una ricerca che ha rivoluzionato negli ultimi tre decenni la tradizione animata statunitense. Con le opere di amici come Brad Bird e Rich Moore all'orizzonte, teniamo ben acceso il nostro radar di appassionati. E Spellbound su Netflix potrebbe nel tempo diventare prezioso per bambini e bambine, magari un ottimo assist per i genitori, nel caso vogliano spiegar loro cose difficilmente comprensibili a una certa età...
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"