Shadowhunters - città di ossa: la nostra recensione del film

21 agosto 2013
3 di 5

Carico di energia e fin troppo ricco d'azione, il primo film tratto dall'opera di Cassandra Clare regala divertimento e un'ironia molto british

Shadowhunters - città di ossa: la nostra recensione del film

La scarsa conoscenza del fenomeno “Shadowhunters” – otto romanzi che hanno per protagonisti esseri a metà fra gli angeli e gli uomini incaricati di respingere i demoni – potrebbe indurre a liquidare il nuovo franchise per young adults come una variante più sgualcita e più rock della Twilight Saga.
Niente di più sbagliato.
Da una parte, infatti, ci sono vampiri e licantropi, montagne e foreste, lusinghe amorose e vita da liceo.
Dall'altra, invece, una summa delle creature dell'immaginario fantasy, una New York cupa e delirante in cui si picchia duro, emozioni contrastanti alle quali non ci si può lasciare andare perché la lotta contro i cattivi va condotta in fretta.

Frutto di una coproduzione tedesco-canadese e della comune passione per ritmo e azione del produttore Don Carmody e del regista Harald Zwart, il primo film tratto dall'opera di Cassandra Clare elude spiegazioni, introduzioni e presentazioni e ci scaraventa, insieme all'adolescente di Brooklyn Clary Fray, in un contesto inizialmente indecifrabile che solo a racconto avviato comincia ad acquistare una fisionomia precisa.
Questo inizio brutale, che deriva dal giochetto autoreferenziale di scrivere la sceneggiatura consultando continuamente i fan dei libri, è sicuramente spiazzante, ma almeno consente al film di decollare subito, per prendersi le giuste pause proprio nel momento in cui si avverte il bisogno di un approfondimento, di una digressione.

Così, contrariamente a quanto accade in molti adattamenti di opere letterarie, in Shadowhunters – Città di ossa sono le azioni a determinare i personaggi, che però, in un film che condensa 516 pagine di romanzo, non verrebbero fuori in maniera tanto prepotente se a interpretarli non fossero attori di spiccata levatura.
Quasi interamente inglese, il cast beneficia della solida bravura di Jared Harris e del fresco talento di un Jamie Campbell Bower che ha provato a fare del suo Jace un misto fra Spider-Man e Jim Morrison.
Si fanno notare anche Lily Collins e Jonathan Rhys Meyers, quest'ultimo mezzo metallaro e mezzo samurai.
Tutti insieme partecipano a un racconto di formazione che, nonostante un po' di ingenuità nella definizione di alcuni rapporti interpersonali, si lancia perfino nell'esplorazione del tema dell'identità e in un'originalità stilistica che si traduce nell'uso della camera a mano e nella scelta di girare in pellicola in location autentiche.

Certo, non sempre l'impressione è quella di realismo e verità, perché nelle scene in interno l'estetica ricorda i classici monster-movie.
Parte di questa artificiosità tuttavia è voluta, in linea con la sottile ironia che pervade l'intero film e che dà il meglio di sé in una scena d'amore che diventa una stilosa parodia dei palpiti e dei sospiri dei protagonisti di tanti teen-movie.
Perché gli Shadowhunters sono prima di ogni altra cosa dei tough guys e per loro non ci sono nonne che sfornano torte di mele, ma solo genitori morti o impegnati a combattere.
Con nostra grande soddisfazione, le più toste sono le donne, che alla faccia del sempiterno celodurismo cinematografico al maschile, stanno guadagnando sempre più terreno nelle immaginarie lotte fra il bene e il male.





  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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