Saw: Legacy - recensione dell'ottavo capitolo della raccapricciante saga horror
Ritorno dopo alcuni anni della serie legata al perfido serial killer Jigsaw.
In principio, almeno in Italia, era L’enigmista, poi è sempre più stato identificato con il nome originale, Jigsaw, o semplicemente abbreviato Saw, assassinio seriale che ha cambiato la storia recente dell’horror al cinema. Nato nel 2004 dalla mente di James Wan e Leigh Whannell, ha fatto scuola come protagonista di film che hanno ottenuto ricavi al botteghino molto più sostanziosi del costo limitato di fabbricazione. Una serie ai limiti fra torture porn e l'horror puro che ha spinto oltre i limiti la quantità di violenza visibile, mettendo in scena un malato terminale di cancro alle prese con un approccio “morale” nei confronti delle sue vittime. Sottoposte a giochi complessi, hanno dovuto negli anni (e in sette film) meritare la sopravvivenza, in caso contrario la morte era l'inevitabile conclusione. Se l’horror è un genere morale, Jigsaw ha applicato la colpa e la redenzione in maniera particolare e piuttosto originale.
Certo che nell’ottavo capitolo, dopo sette anni di attesa, di nuovo in coincidenza con Halloween come gli altri appuntamenti, la carica di originalità è decisamente meno dirompente. Senza rovinare le sorprese, si può dire che Jigsaw sembra ormai morto da più di dieci anni, nei quali ha lasciato spazio a emulatori ed eredi variamente assortiti. Una serie di omicidi, ora, mettono un atroce dubbio alle forze di polizia: possibile che il nuovo gioco a cui vengono sfidati sia organizzato da un redivivo John Kramer?
Questa volta sono i fratelli australiani Spierig a sedersi dietro la macchina da presa, in una serie che sempre di più somiglia a un’altra saga di successo di qualche anno fa, Final destination. Non che siano simili per struttura narrativa, ma entrambe all’inizio hanno proposto una carica di originalità dirompente, mentre con il passare dei capitoli sono sempre più diventati esercizi di stile, con una difficoltà sempre maggiore di spiazzare lo spettatore. Manca la paura, a Saw Legacy, non rimane che l’enigma privo di troppe emozioni accessorie. Nell'ennesim variazione sul tema ripropone un modus operandi che cerca ancora una volta di denunciare il rischio dell’emulazione, il fascino perverso del caso sensazionale rimbalzato dai media e riproposto da qualche malato di telecomando, in epoca di leoni da tastiera via social.
Lasciamo allo spettatore il divertimento, o la noia, nel cercare di seguire riferimenti ai precedenti capitoli della serie, mentre gli amanti dei colpi di scena saranno serviti, meno i cultori di una verosimiglianza e di un patto di correttezza fra autore e spettatore. Ormai quello di Saw è un circolo a numero chiuso: chi ne fa parte andrà a vedere anche Legacy, continuando il gioco su quante volte distoglierà lo sguardo dal gore spinto, ma difficilmente quello che si annuncia come ultimo capitolo (dopo l’ultimo) attirerà nuovi iscritti.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito