S is for Stanley: la recensione del documentario sull'amicizia fra Kubrick e il suo autista italiano
Evento speciale al cinema il 30 maggio il vincitore del David di Donatello.
“Ora lei rimane su e non scende per nessun motivo. Per oggi ha finito di lavorare”. Con queste parole decise Emilio D’Alessandro, autista personale e ormai da tempo qualcosa di più di Stanley Kubrick, apostrofa quest’ultimo rimproverandolo per aver spinto all’estremo il suo fisico, nel corso della preparazione di Eyes Wide Shut.
È un momento che ben sintetizza il rapporto sempre più stretto fra due personaggi che più lontani non si potrebbe, la cui grande storia d’amicizia è raccontata da Alex Infascelli nel documentario S if for Stanley, presentato al Festival di Roma e ora in sala in una versione più lunga di 15 minuti.
Negli anni '90 ormai Emilio D'Alessandro è diventato il fratello maggiore responsabile che mette in riga il genio sempre più fanciullo, salvo poi cedere quando quest’ultimo lo vuole vicino a sé, sfruttando la capacità di seduzione dell’uomo generoso dietro al regista perfezionista.
Rinchiuso nel suo mondo di affetti e serenità, non recluso come sciattamente raccontato da molti per anni, Stanley Kubrick divideva la sua vita in due: al piano di sopra la vita privata, gli affetti, l’amore per gli animali, la moglie Christiane e le figlie presto andate via di casa con suo grande dispiacere; sotto il lavoro, l’infaticabile ricerca di storie appassionanti del lettore vorace, e la scelta di attori da spremere al massimo per ottenerne il meglio. In mezzo, sospeso fra i due mondi, per trent’anni, si è mosso Emilio D’Alessandro, emigrato negli anni ’60 da Cassino a Londra e tornato in tarda età, dopo la morte di Kubrick nel 1997, nella campagna laziale. Un rapporto nato casualmente, con un fallo gigante da portare sul set di Arancia meccanica, una notte di neve e ghiaccio e un asso della guida in grado di portare a termine il compito, pilota da corsa diventato autista per arrotondare.
Facile immaginare come Kubrick abbia visto in lui l’efficienza di un uomo semplice, emblematica del bisogno di rapporti veri di un artista da tutti ritenuto un genio che abbandonò presto la sua New York, per allontanarsi ancor di più da Hollywood, da quello che rappresentava, dalle sue luci abbaglianti ed effimere. Una villa nella campagna inglese, circondato dalla natura - che portava in dote un confortante disinteresse per le vicende terrene - era il luogo ideale per avvicinare il regista al grande lavoratore a cui non interessava più di tanto cosa facesse il suo capo. Solo dopo essere tornato, una prima volta, in Italia, Emilio D’Alessandro ha visto i suoi film: il preferito, con grande scorno di Kubrick, è proprio il più spurio di tutti, Spartacus.
Sono tanti gli aneddoti divertenti e toccanti che Infascelli racconta attraverso il protagonista, ma il suo disprezzo per Jack Nicholson, e la sua abitudine di tirare su con il naso una polverina bianca, racconta alla perfezione questo Candido rappresentate dell’emigrazione italiana. Solo nell’ultimo film, Eyes Wide Shut, irromperà letteralmente in scena - come giornalaio in una scena accanto a Tom Cruise - diventando indispensabile davanti oltre che dietro la macchina da presa, testamento dell’amicizia che ha legato Kubrick al suo fido collaboratore.
S if for Stanley è un documentario dal ritmo crescente, che entra nella vita quotidiana di un maestro all’opera, passando dall’ingresso di servizio, illuminando una figura troppo spesso tacciata di freddezza. Sfidiamo gli amanti del cinema di Kubrick a non commuoversi quando i due prenderanno per la prima volta due uscite diverse, salutandosi senza troppe parole, con un abbraccio, prendendo atto di essere diventati indispensabili uno all’altro. Solo un “fuck this” mormorato fra le lacrime da Kubrick, che ci ricorda il beffardo “fuck” messo in bocca a Nicole Kidman alla fine di Eyes Wide Shut: congedo dissacrante di un autore fin troppo sacralizzato.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito