Renfield: la recensione del film che rilegge con ironia la storia di Dracula e del suo schiavo

25 maggio 2023
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Divertente rilettura moderna del personaggio di Dracula e del suo schiavo, quella del film Renfield, che regala ai fan azione, splatter, spunti di riflessione e ottime performance degli attori, con un Nicolas Cage al suo meglio. La recensione di Daniela Catelli.

Renfield: la recensione del film che rilegge con ironia la storia di Dracula e del suo schiavo

Negli anni Ottanta un film come Renfield sarebbe stato la regola: a nostra memoria è stato il periodo più folle e creativo per l’horror, grazie alla grande fioritura di splatter low budget e senza restrizioni, dove tutto si poteva fare e si faceva, senza cercare scuse e giustificazioni in trame elaborate o ardite metafore. Film fatti per il puro divertimento dello spettatore, il che non oscurava ovviamente le opere di autori già consacrati come George A. Romero, David Cronenberg e altri eroi del genere che più amiamo, ma arricchiva un panorama che si rifaceva al passato, quando i festival e i cinema di seconda categoria (e in America le Grindhouse) diventavano anche occasione di sfogo collettivo e liberatorio. Ora, a ben guardare, Renfield una trama ce l’ha, sia pure tenue, ed essendo ambientato in epoca contemporanea ha chiari agganci con i mali della nostra società, in cui sempre più spesso gli individui (in genere donne, ma non solo) sono vittime di relazioni tossiche con narcisisti patologici da cui non riescono a liberarsi se non all'oneroso prezzo di anni di analisi, quando va bene. Ed è in uno di questi centri di disintossicazione e recupero della propria dignità, che incontriamo il protagonista del film di Chris McKay, che si presenta con nome e cognome e molta dignità anglosassone: si chiama Robert Montague Renfield, ha un boss che lo mortifica e lo schiavizza e che altri non è che il conte Dracula, di cui è il famiglio, o lo schiavo, e che dopo oltre un secolo di vita (letteraria) e peregrinazioni è approdato con lui in America, dove continua a fornirgli vittime, sia pure un po’ più a malincuore.

Nel loro rapporto (nel film, ovviamente non nel romanzo) c’è anche un eco di quello tra il Willie Loomis e il Barnabas Collins della soap horror Dark Shadows, con cui ovviamente gli americani hanno più familiarità del pubblico europeo. Appartiene al prolifico fumettista Robert Kirkman l’idea iniziale: Renfield non è un sessantenne come nel romanzo di Bram Stoker, ma un baldo eterno giovane con gli occhi azzurri (Nicholas Hoult, perfetto per questo tipo di ruoli: vedi Warm Bodies), la cui strada si incrocia casualmente con quella di una famiglia del crimine, i Lobos, e di una poliziotta (Awkwafina) che vuole vendicare il padre ucciso dai suoi membri e ha contro tutta la polizia corrotta sul loro libro paga. Ma al di là della trama, che come dicevamo è appena un pretesto, Renfield è un guilty pleasure che si vede con piacere per le performance del cast (come si fa a non voler bene a Ben Schwartz?) e soprattutto per Nicolas Cage, che indossa il mantello del conte (che si lava solo a secco) e i denti aguzzi del capostipite di tutti i succhiasangue con perfetta aderenza e consapevolezza, ricordando in una singola performance tutti i vampiri cinematografici che abbiamo conosciuto e amato, a partire ovviamente da quello del 1931 di Bela Lugosi, ampiamente citato e omaggiato nei toni e nelle immagini in bianco e nero, ma anche quello di Christopher Lee nell'era d'oro della Hammer, con le zanne, lo sguardo feroce e il sangue che zampilla, rosso come il velluto, fino a ricoprire lo schermo. E da non perdere sono i titoli di coda dove il richiamo al passato di questo mostro immortale (in tutti i sensi) è ancora più evidente.

Al contrario di altri, non pensiamo affatto che il tempo che Cage passa sullo schermo sia troppo poco: anzi, è proprio la sua contenuta presenza che gli permette di brillare come solo lui sa fare e di gestire il suo naturale istrionismo con misura per un ruolo che presentava molti rischi e che gli calza come un guanto. Insomma, Renfield non è un capolavoro ma offre davvero molto allo spettatore di questo genere di film: lo splatter e il gore non mancano, alcune mutilazioni sono spettacolari (la nostra preferita quella vista ai raggi X) e non ha pretese di riscrivere la storia. Alla fine ci insegna perfino a liberarci dal peso delle persone tossiche e ad affrontare i nostri problemi… un pezzettino alla volta e fa l’effetto di un feel good movie, un concetto che in genere non siamo abituati ad associare agli horror, sia pure in forma di commedia.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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