Rebel Moon - Parte 1: Figlia del fuoco, recensione del film di Zack Snyder su Netflix

15 dicembre 2023
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Ambiziosissimo e prometeico, Zack Snyder prende pezzi da Star Wars, da Dune, dal Signore degli Anelli e da tantissimi altri film recenti e meno recenti per dare vita a una creatura cinematografica frankensteiniana dalle caratteristiche assai diverse da quelle auspicare dal suo autore. La recensione di Rebel Moon - Parte 1 di Federico Gironi.

Rebel Moon - Parte 1: Figlia del fuoco, recensione del film di Zack Snyder su Netflix

“Un evento epico tra scienza e fantasy, la cui realizzazione ha richiesto decenni di lavoro”.
Così recitano i comunicati stampa su Rebel Moon che arrivano agli addetti ai lavori.
Dopo aver visto la prima parte del dittico sci-fi di Zack Snyder, Rebel Moon - Parte 1: Figlia del Fuoco, ci si chiede dove sia la scienza (che non sia fanta-, ovviamente) e se davvero Snyder e soci abbiano lavorato a questo film per decenni.
Ogni scarrafone è bello a mamma sua, questo lo sappiamo, ma forse, a volte, un pizzico meno di grandeur e un po’ più di oggettività gioverebbe anche agli uffici marketing.

Che Rebel Moon fosse ispirato, dichiaratamente, a Star Wars, questo lo sapevamo. A Star Wars, al cinema di Kurosawa (sic.) e dalla rivista di fumetti Heavy Metal, dalla quale mutua la font del logo titolo.
Se i riferimenti a Kurosawa si esauriscono, fortunatamente, in alcuni dettagli di scenografia orientaleggianti (con un effetto che però sa più di Blade Runner che di altro), e Heavy Metal pare una generica ispirazione, la saga di Lucas appare qualcosa che Snyder ha ricalcato in maniera quasi ossessiva.
In Rebel Moon ci sono infatti un malvagio impero galattico impegnato nella repressione di una ribellione; una tranquilla comunità rurale ai margini della galassia devastata dalla crudeltà dei potenti; un personaggio che per reaziona a questa violenza cerca di unirsi ai ribelli; un droide un po’ buffo; un super cattivo sadico e una sorta di imperatore che, con quel personaggio che si ribella, ha un legame familiare; un contrabbandiere che viene coinvolto nei piani insurrezionali della protagonista.
Suona familiare?

A questo aggiungiamo una serie di riferimenti chiari e evidenti, fin dalle primissime scene, all’universo di Dune (nella forma di certe astronavi, e nella caratterizzazione a-la-Harkonnen del sadico ammiraglio interpretato da Ed Skrein), e il fatto che la tranquilla comunità rurale nella quale incontriamo la protagonista Sofia Boutella all’inizio del film odora tantissimo di contea tolkieniana. Echi del Signore degli Anelli tornano anche quando la Kara di Boutella (ottimo corpo plastico-atletico, più in difficoltà con lo spessore drammatico di certe battute), inizia a mettere assieme una sua “compagnia” per affrontare la sua impresa, non composta da elfi, maghi e nani ma da generali caduti in disgrazia, leader rivoluzionari, misteriose spadaccine e principi esiliati che sembrano usciti da un Flash Gordon versione pret-a-porter.
Insomma, l’originalità non è esattamente il punto di forza di Rebel Moon.

Snyder, che ha iniziato la sua carriera raccontando gli zombie con l’ottimo L’alba dei morti viventi (e che di recente è tornato a parlarne in Army of the Dead), ha qui costruito il suo personalissimo mostro di Frankenstein della fantascienza: un ambiziosissimo colosso dal corpo cinematografico ipertrofico e sgraziato composto dall’assemblaggio di parti maggiori delle saghe più note dell’universo fantasy e sci-fi, e da innumerevoli altri elementi che citano più o meno esplicitamente tutto il citabile in quei mondi cinematografici e non solo.
Ora, se è vero che calchi del mondo di Star Wars (che riguardano anche, e forse soprattutto, un certo approccio in stile western alla costruzione di mondi, scene e personaggi) hanno in parte origine e spiegazione nel fatto che Rebel Moon nasce, anni fa, come progetto interno alla Lucasfilm, lo è anche che Snyder pecca in qualche modo della stessa hybris che, dal romanzo di Mary Shelley in avanti, caratterizza il creatore del mostro che porta il nome di Frankenstein.

E difatti, non è affatto esagerare dire che, a suo modo, nella sua sterminata e evidente ambizione, Snyder è il perfetto erede contemporaneo di quel prometeismo titanico che era tanto amato dal romanticismo ottocentesco, e che mescolava filosofia e scienza.
Oggi, nel cinema di oggi, Snyder è davvero un Victor Frankenstein, desideroso di infondere la vita - una vita epica e superumana - attraverso una tecnologia che oggi non è più elettrica o galvanica, ma digitale e numerica.
Come nel romanzo di Shelley, però, ecco che Rebel Moon si anima e si muove nel mondo con caratteristiche assai lontane da quelle immaginate e auspicate dal suo creatore. Con la stessa goffaggine, con la stessa natura intimamente mostruosa, contraddittoria, estrema, fuori dall’ordinario, e con caratteristiche che differiscono sensibilmente da quelle che il suo demiurgo auspicava.

Snyder, regista da sempre idealmente proiettato verso il futuro (una qualche idea di), ma ancora profondamente legato al Novecento nella sua muscolarità squisitamente anni Ottanta e nella sua estetica ultra patinata chiaramente anni Novanta, cerca in maniera evidente una profondità e uno spessore che non riesce a raggiungere mai.
La sua è una vocazione cinematograficamente maggioritaria, assolutista, dispotica, ma che nella pratica rimane frustrata e ridotta a una fronda rumorosa di mera testimonianza.
Lì dove mira ossessivamente al grande afflato epico, centra spesso un sublime ridicolo, e dove vorrebbe raggiungere una gravitas drammaturgica, trova invece una pesantezza plumbea e immediatamente dimenticabile.

Sproporzionato e sgraziato dal punto narrativo, Rebel Moon vive sul piano visivo delle ossessioni estetiche del suo autore: ralenti che si alternano a improvvisi e velocissimi, ipercinetismi, flou quasi malickiani e tenebrosità burtoniane, ostensione di corpi (preferibilmente maschili e definitissimi) e galleria fotografica di volti (quasi tutti belli o bellissimi).
Tutto si può dire, tranne che Snyder non sia un regista dotato di una personalità e di un’idea di cinema chiara e riconoscibile. Se poi questa personalità e questa idea siano apprezzabili e condivisibili, è tutto un altro paio di maniche.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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