Questione di cuore - recensione del nuovo film di Francesca Archibugi

15 aprile 2009

E' una strana e riuscita coppia quella formata da Kim Rossi Stuart e Antonio Albanese in Questione di Cuore. Il nuovo film di Francesca Archibugi non è però solamente un saggio di bravura attoriale. E' un'analisi della contemporaneità e delle paure delll'uomo, in primis la paura della morte.

Questione di cuore - recensione del nuovo film di Francesca Archibugi

Questioni di cuore - la recensione

Come un buon vecchio film italiano degli anni Quaranta, Cinquanta o Sessanta, Questione di cuore di Francesca Archibugi si distingue sia per l’ottima direzione degli attori che per la robustezza della sceneggiatura, che prende spunto da una bella storia già raccontata da Umberto Contarello per poi diventare l’ossatura di un film sull’Italia di oggi, sulla famiglia, sulla solitudine dell’uomo di fronte alla malattia, sull’amicizia maschile. Tenendo conto della lezione di Furio Scarpelli, che un giorno, al centro Sperimentale di Cinematografia, le disse che possedeva il raro dono di scrivere ottimi dialoghi, la regista di Verso sera e Il grande cocomero ha creato una coppia cinematografica perfetta, capace di passarsi continuamente la palla oscillando dalla commedia al dramma.

Mettendo nella stessa stanza d’ospedale Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart, attori molto diversi fra loro ma ugualmente sensibili, ha creato un piccolo miracolo, provocando il libero fluire delle emozioni, il coinvolgimento totale nei sentimenti e nelle situazioni mostrate, la pietas nei confronti di due personaggi infinitamente fragili di fronte a un cuore che potrebbe smettere di battere. Mai sopra le righe, mai teatrali, mai melodrammatici, Albanese e Rossi Stuart sono riusciti a tatuarsi addosso e a rendere veri e umani due uomini che in fondo rappresentano le due anime di colei che dalla carta li ha trasferiti sul grande schermo. Nello sceneggiatore Antonio, che ha perso la capacità di scrivere e che dopo l’infarto sente il bisogno di rimettere in discussione la propria vita, ci sono i momenti di impasse creativa della Archibugi, c’è lo scollamento che l’uomo contemporaneo, soprattutto l’artista, avverte nei confronti di un paese che cambia in peggio, parlando ossessivamente in pubblico del proprio privato e chiudendosi ermeticamente di fronte al nuovo e al culturalmente diverso. Nella veracità e autenticità del carrozziere Alberto, che ripara auto d’epoca in un’officina del Pigneto, c’è invece l’amore della regista per la Roma di Pasolini e di Rossellini e il suo fortissimo senso dell’amicizia, intesa come condivisione assoluta, goliardia, fratellanza, alternativa al nucleo familiare.

E’ bello che tutto questo arrivi al cuore dello spettatore. Succede anche perché Questione di cuore non è solamente un film personale. Nel suo tentativo non tanto di esorcizzare la paura della morte quanto di non negarla, diventa un’indagine universale. Noi uomini contemporanei, che rimuoviamo l’idea della fine attraverso un iper-attivismo distruttivo e abbuffate bulimiche di relazioni sentimentali sempre nuove possiamo insomma trarre un insegnamento importante da questo piccolo film a suo modo intimista: possiamo innanzi tutto imparare a non sprecare le persone preziose e a guardare al mondo con affetto e dolcezza. Per Francesca Archibugi un film che stimola queste riflessioni, è innanzitutto un film politico, l’unico che da sempre ha cercato di fare.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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