Quel che resta del giorno: recensione dell'affresco in costume con Anthony Hopkins e Emma Thompson

23 maggio 2020
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Uno stupendo ritratto di un mondo in decadenza, quello dei nobili britannici di campagna, dal punto di vista di un maggiordomo che ha sacrificato la sua vita al lavoro di servizio.

Quel che resta del giorno: recensione dell'affresco in costume con Anthony Hopkins e Emma Thompson

Gli anni passano, ma Mr. Stevens è ancora maggiordomo in una splendida e lugubre residenza di campagna vicino a Oxford. Per trent’anni ha servito con cieca fedeltà Lord Darlington, nei momenti di gloria della casa, gli anni ’30, in cui il nobile era fra i non pochi potenti britannici artefici della politica di appeasement con il nazismo. Fra gli autorevoli ospiti anche il primo ministro, mentre Quel che resta del giorno ci racconta la vita fra le due guerre vista attraverso un minuscolo microcosmo, preteso centro del mondo, di importanti affari di politica internazionale, proprio quando in realtà quel mondo stava per sparire per sempre. 

Il mondo della nobiltà di campagna, costituito da lord annoiati in tetre e sempre più decadenti e cupe residenze rurali, dei dilettanti, come dice con coraggio Jack Lewis, un giovane deputato americano in visita, durante un incontro fra potenti, sconvolto dalla loro idea di favorire un accordo con Hitler. Un primo momento in cui nel film si incrina la superficie impeccabile di un impero britannico che sta passando le consegne ai professionisti americani, al vigore pragmatico e cittadino della nuova potenza, pronta a uscire dalla guerra come locomotiva dell’Occidente. 

Mr. Stevens quel simulacro in decomposizione lo racconta nella metà degli anni ’50, quando la guerra ha reso non solo vani, ma anche inaccettabili, gli slanci filonazisti del suo ex padrone, e si trova ormai al servizio proprio di quel non più giovane politico americano, nel frattempo pronto a trasferirsi con la famiglia a Darlington Hall, comprata a prezzo di svendita. Una bella interpretazione per Christopher Reeve, appena un paio d’anni prima della terribile caduta da cavallo che segnò poi la vita del Superman più amato del grande schermo. Proprio Mr Lewis regala una buona sintesi della fierezza britannica legata al suo glorioso passato, così lontana dallo spirito americano ossessionato dal presente e dal futuro, dal rinnovamento continuo di sé. Sfogliando i giornali inglesi, seduto nei saloni della sua residenza appena comprata, commenta rivolto al suo maggiordomo con una certa perplessa ammirazione gli obituary, “quello che preferisco nei vostri giornali”, i necrologi così ricchi e completi tipicamente britannici: “Ogni figlio d’un cane ottiene la sua grandiosa orazione funebre”.

Parlando di passato, Mr Stevens si rende conto per la prima volta di aver sacrificato la propria vita per qualcosa che all’epoca gli sembrava prioritario su tutto, anche sul vegliare il padre in fin di vita, lasciato solo per servire al meglio una cena di gala un piano più in basso. Un isolamento completo dalla realtà, il suo, che ora diventa senso di vuoto, la sensazione di aver passato una vita a spolverare delle impeccabili di statue di porcellana ora chiuse nel disinteresse generale in un mobile. Una società di classe descritta con precisione millimentrica, come le sue sterili ossessioni, a cui poi guarderà anni dopo l’opera di Julian Fellowes, con Gosford Park e la serie Downton Abbey.

Mr Stevens non si è mai permesso di esprimere un sentimento qualsiasi, come quell’attrazione palese, ma sempre trattenuta, per la governante Miss Kenton (Emma Thompson), che va a incontrare cercando di rimediare all’errore, come confessa lungo il viaggio, ormai invecchiato nei pieni anni ’50. Un errore come quello che Lord Darlington alla fine gli ha confessato aver commesso, parlando della simpatia per il nazismo, che lo spinse a cacciare due giovani e impeccabili cameriere rifugiate dalla Germania, con la sola colpa di essere ebree.

Quel che resta del giorno è il miglior film di James Ivory, un sontuoso e claustrofobico ritratto funebre di un uomo e della sua epoca, fedele specchio dell’ossessione britannica per le classi sociali. L’intimo della mai nata storia d’amore fra i due protagonisti si mescola alla politica, all’ingenuità di chi riesce a credere che Hitler sia un uomo di pace. Un atto di accusa sociale, ma anche emotivo, verso un modo di vivere ipocrita e senza futuro. Eccezionale Anthony Hopkins, reduce dal trionfo personale de il silenzio degli innocenti, e con lui Emma Thompson: le scene fra i due sono il cuore pulsante del film, impossibile non essere colpiti se non commossi dal balletto trattenuto, dai silenzi e dai rimpianti.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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