Poveri ma ricchissimi: recensione del ritorno dei Tucci
Christian De Sica, Enrico Brignano e soprattutto Lucia Ocone, sono il motivo per vedere il film.
Lucia Ocone, nei panni del personaggio della moglie Loredana, dichiara che è meglio essere depressi ricchi che depressi poveri perché “i ricchi si curano la depressione da Dolce e Gabbana e non da Leroy Merlin”. È in alcune battute azzeccate che si consuma rapidamente il divertimento di Poveri ma ricchissimi. La Ocone è senza dubbio la punta di diamante del film con un’interpretazione brillante e con la stessa esplosiva comicità da lei infusa anche nel precedente Poveri ma ricchi. Insieme all’attrice, allo stesso modo, Christian De Sica ed Enrico Brignano si fanno nuovamente portatori di risate per l’umorismo che li contraddistingue, ma questo non è sufficiente a nascondere la stessa carenza narrativa che già emergeva nel primo film.
La premessa di Poveri ma ricchi era semplice: i Tucci, una famiglia di cafoni, vincono cento milioni alla lotteria. Quello che ne seguiva era un’esilarante infilata di situazioni in cui questi individui della bassa Ciociaria si mettevano in ridicolo andando a vivere a Milano. Accanto alle spassose interpretazioni degli attori c’era una debolezza, quella di non avere un’unità narrativa compatta dall’inizio alla fine. Il film si componeva della premessa, di una sequenza dietro l’altra che si esaurivano nell’arco di alcune scene e di un finale con sorpresa. La premessa del sequel Poveri ma ricchissimi è un po’ più articolata per la necessità di proseguire la storia senza replicare le dinamiche già viste: i Tucci sono ancora ricchi, anzi un po’ più di prima, e per non essere martoriati dal fisco italiano trovano il modo di ottenere l’indipendenza del borgo in cui abitano, Torresecca.
La formula narrativa ricalca quella del primo film e porta con sé gli inevitabili cali di ritmo, per le tante situazioni che i personaggi vivono più individualmente che collettivamente. Nel calderone delle idee finisce tutto quello che è di tendenza: dalla parodia di Donald Trump all’allergia degli italiani verso il fisco, dal richiamo alle cinquanta sfumature di grigio alle leggi ad personam. Il product placement che permette di alleggerire i costi va bene, ma i prodotti commerciali infilati a spinta tra una scena e l’altra danno un po’ fastidio. L’idea di un franchising di chioschi specializzati in supplì, però, non è niente male.
- Giornalista cinematografico
- Copywriter e autore di format TV/Web