Piuma: recensione del film di Roan Johnson in concorso al Festival di Venezia 2016
Il film con i giovani Luigi Fedele e Blu Yoshimi arriverà nei cinema il 20 ottobre.
La gravidanza in età giovanissima non è un tema nuovo per il cinema. Solo per rimanere nell'ambito di quello americano, vengono immediatamente alla mente Non per gioco ma per amore di John G. Avildsen (quello di Rocky) e, in epoca più recente, Juno. Ma anche il francese 17 filles, visto al Festival di Torino; come il belga Keeper, che nel 2015 è stato al TFF premiato come miglior film dalla giuria presiediuta da Valerio Mastandrea.
Ora ci prova, in casa nostra, il pisano Roan Johnson con Piuma, alla sua terza prova da regista dopo I primi della lista e Fin qui tutto bene.
Allievo di Paolo Virzì e Francesco Bruni al Centro sperimentale, e generazionalmente aperto a influenze cinematografiche che superano i nostri confini e arrivano dall'altro lato dell'Atlantico, in Piuma Johnson mostra tutta la sua natura di figlio di questi due mondi cinematografici, tentando di ravvivare, con soluzioni narrative ed estetiche che derivano chiaramente da influenze indie, un canovaccio saldamente ancorato a quello della commedia di casa nostra. Il risultato è un tipico esempio del nostro cinema medio industriale, che guarda senza esitazioni al pubblico più ampio e alle sue aspettative, tra piccole o grandi sincerità e una buona dose di padronanza dei ferri (e dei trucchi) del mestiere.
Decisamente più abile nella scrittura che non nella regia pura, Johnson dribbla con smaliziata furbizia molte delle questioni etiche - e di stretta attualità - legate alla storia che racconta: quella di due liceali a un passo dall'esame di maturità (ma ben lontani dall'essere maturi: perlomeno lui) che hanno scoperto di aspettare un bambino e che hanno deciso di tenerlo. Lo stratagemma consiste nel far raccontare al personaggio di Cate (la ragazza incinta) di aver avuto un precedente aborto, che renderebbe quasi impossibile una nuova gravidanza in caso d'interruzione della prima: e a questo senso di responsabilità, si associa un'incoscienza non sempre opportuna.
Srotolandosi in maniera un po' discontinua lungo i nove mesi della gravidanza, Piuma non è però tanto un film su come i due giovani protagonisti affrontano la gravidanza e le scelte relative che si trovano a dover fare, quanto sul mondo adulto che li circonda. Su due famiglie (o, forse, una famiglia e mezza) che, per ragioni diverse, appare ancora più impreparato e immaturo dei ragazzini nel gestire la situazione.
Non sempre Piuma ha le spalle larghe abbastanza per reggere queste tematiche, né - a dispetto del suo titolo - trova in ogni circostanza la freschezza cinematografica cercata. Da un lato perché le invenzioni visive con cui Johnson vorrebbe sollevare la trama dalla sua materialità sono poco riuscite; dall'altro perché - specie in alcuni nodi e sotto-trame - la scrittura è fin troppo percepibile, mina la naturalità del racconto e tende al sopravvento costante di una leggerezza che non sempre fa il bene dell'emotività.
Quando però Johnson si concentra su quello che fa meglio, quando gioca da sceneggiatore con l'umorismo e il caos delle situazioni in chiave quasi farsesca o da commedia dell'arte, Piuma è capace di divertire e far ridere. Anche grazie ai personaggi dei due padri: il frustratissimo e rassegnato Sergio Pierattini, e il caotico e cialtronissimo Francesco Colella.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival