Pinocchio - la recensione del film d'animazione di Enzo d'Alò
18 febbraio 2013
L'autore di La gabbianella e il gatto torna al cinema con Collodi
Confrontarsi con il "Pinocchio" di Collodi è nella cultura italiana dell'audiovisivo un dovere morale. E' successo con film dal vero: il neorealista Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini e, trent'anni dopo, la costosa favola di Benigni . Più accidentata è stato la strada dei nostrani autori d'animazione, per varie ragioni, oltre all'ovvio rispetto per il materiale: innanzitutto la pendente spada di Damocle di un modello disneyano che, per quanto personale e traditore, rimane una pietra miliare. In secondo luogo la difficoltà oggettiva e continua di reperire i fondi necessari a portare a termine un lungometraggio animato nel nostro paese.
Il regista Enzo d'Alò ha
condiviso lo stesso percorso che l'animatore Giuliano Cenci, peraltro suo consulente su
La gabbianella
e il gatto e Momo, aveva
battuto quando nel 1971 cercò di distribuire al meglio (senza riuscirci)
Un burattino di nome
Pinocchio, concepito per essere fedelissimo a Collodi e narrato
dalla voce di Renato Rascel.
Come il maestro del Carosello, anche d'Alò ha inseguito il suo Pinocchio per oltre dieci
anni, incrociando preziosi collaboratori e tagliando il traguardo con il sostegno di
Francia, Lussemburgo e Belgio.
Scrivendo il
copione con Umberto Marino
, l'autore ha proposto una chiave di lettura chiara nel flashback iniziale sul
bambino
Geppetto, creativo e sognatore: una suggestione che, mettendo sullo stesso piano
padre e figlio, colpevolizza meno lo scapestrato protagonista. Significativo infatti che
il regista non abbia raccolto lo sdoppiamento finale di Collodi, suggerendo come fece
Benigni che, trasformazioni fisiche a parte, distruggere l'incoscienza dell'infanzia è
impossibile, è un male. Rischioso: e se l'emozione più tagliente di Collodi si basasse
invece proprio
sull'inevitabilità di questo tragico e un po' macabro rito di passaggio?
Efficace è la chiave formale del design curato da Lorenzo Mattotti, che ripropone lo stile da
lui usato per illustrare una delle edizioni del libro. Il segno corposo e pittorico
dell'artista bresciano, noto in tutto il mondo, ha impegnato a fondo gli artisti per
adattarlo al film, con risultati affascinanti, in particolare in alcuni campi lunghi delle
colline toscane.
Altro importante collaboratore è stato Lucio Dalla, che non ha mai visto il film finito, ma che
lo ha infuso con il suo gusto per la contaminazione musicale in bizzarre canzoni,
doppiando anche il buffo Pescatore Verde. Da Rossini a Nino Rota,
passando per il rock, l'uomo che quarant'anni fa cantò "Fumetto" ci saluta
sorridendo.
Bisognerebbe però chiedersi a
questo punto come mai il risultato di Pinocchio sia inferiore alla
somma delle sue
parti. Forse la ragione è una sola: il ritmo asfissiante e chiassoso scelto dal regista,
modellato per sua ammissione sull'entusiasmo del burattino, viaggia senza le
necessarie pause di stupore, poggiando come si è detto su un'interpretazione sì
meno punitiva, ma anche meno drammatica e più debole. Peccato.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"
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