Il regista
Enzo d'Alò ha
condiviso lo stesso percorso che l'animatore
Giuliano Cenci, peraltro suo consulente su
La gabbianella
e il gatto e
Momo, aveva
battuto quando nel 1971 cercò di distribuire al meglio (senza riuscirci)
Un burattino di nome
Pinocchio, concepito per essere fedelissimo a Collodi e narrato
dalla voce di
Renato Rascel.
Come il maestro del Carosello, anche d'Alò ha inseguito il suo Pinocchio per oltre dieci
anni, incrociando preziosi collaboratori e tagliando il traguardo con il sostegno di
Francia, Lussemburgo e Belgio.
Scrivendo il
copione con
Umberto Marino
, l'autore ha proposto una chiave di lettura chiara nel flashback iniziale sul
bambino
Geppetto, creativo e sognatore: una suggestione che, mettendo sullo stesso piano
padre e figlio, colpevolizza meno lo scapestrato protagonista. Significativo infatti che
il regista non abbia raccolto lo sdoppiamento finale di Collodi, suggerendo come fece
Benigni che, trasformazioni fisiche a parte, distruggere l'incoscienza dell'infanzia è
impossibile, è un male. Rischioso: e se l'emozione più tagliente di Collodi si basasse
invece proprio
sull'inevitabilità di questo tragico e un po' macabro rito di passaggio?
Efficace è la chiave formale del design curato da
Lorenzo Mattotti, che ripropone lo stile da
lui usato per illustrare una delle edizioni del libro. Il segno corposo e pittorico
dell'artista bresciano, noto in tutto il mondo, ha impegnato a fondo gli artisti per
adattarlo al film, con risultati affascinanti, in particolare in alcuni campi lunghi delle
colline toscane.
Altro importante collaboratore è stato
Lucio Dalla, che non ha mai visto il film finito, ma che
lo ha infuso con il suo gusto per la contaminazione musicale in bizzarre canzoni,
doppiando anche il buffo
Pescatore Verde. Da Rossini a Nino Rota,
passando per il rock, l'uomo che quarant'anni fa cantò "Fumetto" ci saluta
sorridendo.
Bisognerebbe però chiedersi a
questo punto come mai il risultato di Pinocchio sia inferiore alla
somma delle sue
parti. Forse la ragione è una sola: il ritmo asfissiante e chiassoso scelto dal regista,
modellato per sua ammissione sull'entusiasmo del burattino, viaggia senza le
necessarie pause di stupore, poggiando come si è detto su un'interpretazione sì
meno punitiva, ma anche meno drammatica e più debole. Peccato.