Piccole bugie tra amici - la recensione del film di Guillaume Canet

05 aprile 2012
3.5 di 5

Un gruppo di amici che si ritrovano in una casa al mare, d'estate, per una vacanza che, da appuntamento fisso e routine annuale da sempre, diventa occasione per cercare di ignorare il dolore per l'amico gravemente ferito rimasto in città.



Un gruppo di amici che si ritrovano in una casa al mare, d'estate, per una vacanza che, da appuntamento fisso e routine annuale da sempre, diventa occasione per cercare di ignorare il dolore per l'amico gravemente ferito rimasto in città. Una struttura che da Il grande freddo in poi ha interessato tanti registi e spettatori. Una convivenza ravvicinata che mette a dura prova vecchi rapporti, fa uscire fuori ipocrisie, falsità, solo sopite dietro una maschera. Sceglie una struttura consolidata Guillaume Canet, conosciuto soprattutto come attore, per il suo terzo film da regista, dopo il thriller inedito al cinema da noi Non dirlo a nessuno, per cui vinse il César nel 2007. Una struttura narrativa dolce amara, in continua sospensione tra le risate e il divertimento tanto chiassoso quanto spesso forzato e l’amarezza di un gruppo di 30/40enni alle prese con una vita che spesso non riconoscono più e che “recitano” per forza d’abitudine, sembrando quasi un gruppo di attori in tournée teatrale dopo centinaia di repliche che stancamente interpretano una parte. Un film molto parlato ai limiti del verboso (e lungo oltre due ore e mezza), proprio per consentire ai nostri protagonisti di stordirsi con le parole, per non trovarsi in un assordante silenzio a dover fare i conti con le loro vite, con le loro incapacità di crescere, di amare, di affrontare con maturità le loro infelicità.

Piccole bugie tra amici
(titolo derivativo di cui non sentivamo il bisogno) è un film molto personale per il regista che ha scelto i suoi amici nella vita come protagonisti, ma ha il merito di averli “trattati male”, di averli resi personaggi talvolta irritanti, o nevrotici, in una parola umani. Al contrario di alcune commedie italiane, anche recenti, qui non si cerca la conciliazione del volemose bene, qui le ferite ci sono e possono anche portare verso una conclusione catartica e forse facilmente commovente, ma vengono suturate con il sale, dolorosamente, lasciando cicatrici incancellabili.

Un cast eccellente, su tutte
Marion Cotillard, fidanzata del regista, fragile e silenziosa, ma anche il solito ottimo François Cluzet (il paraplegico di Quasi amici via di mezzo fra Dustin Hoffman e Silvio Orlando), Benoit Magimel, Gilles Lellouche, mentre il fresco vincitore dell’Oscar Jean Dujardin ha un po’ il (non) ruolo che ebbe Kevin Costner ne Il grande freddo, immobilizzato su un letto d’ospedale. Con i loro grandi difetti e incompiutezze non lasciano indifferenti, suscitano emozioni contrastanti, brillano per sincerità e umanità. Ci si affeziona in fondo, così come nella vita si accettano lati caratteriali che non si amano in amici che si conoscono da una vita fino all’estremo di continuare a frequentarli anche solo per abitudine.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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