Peter Rabbit 2, la recensione di un sequel... autoironico?
Peter Rabbit 2 fornisce divertimento per i più piccoli e le famiglie, però al margine e a sorpresa autoironizza sull'appropriazione e lo stravolgimento di marchi celebri... ma fino a un certo punto.
Ora che Bea (Rose Byrne) e Thomas (Domhnall Gleeson) sono convolati a nozze, Peter il coniglio ha altri problemi: le sue avventure e quelli dei suoi amici sono state raccolte da Bea in un libro che va a ruba, e un potente editore di città (David Oyelowo) vorrebbe fare delle loro storie un best-seller da milioni di copie. Peter si offende però quando scopre che nella saga risulterebbe come la "mela marcia": in crisi esistenziale, non senza un buon senso di colpa, cederà alle lusinghe di una banda di animali di strada che progetta un grosso colpo...
Dopo il successo del primo Peter Rabbit (350 milioni di dollari d'incasso per 50 di costo), il regista Will Gluck torna ad adattare per un pubblico di famiglie e soprattutto per i più piccoli le avventure di Peter Coniglio di Beatrix Potter, preseguendo con una sceneggiatura originale scritta da lui stesso con Patrick Burleigh. Non c'è quasi nulla nel film che esuli da quel che ci aspetta in questo tipo di produzione ibrida, fatta di riprese dal vero con attori, miscelate con animazioni fotorealistiche in CGI, ben realizzate dalla duttile Animal Logic. Marachelle, momenti slapstick, qualche sporadica battuta (ma non è un film che ruoti su dialoghi a effetto), sentimenti immediati e crisi esistenziali in miniatura: Peter è proprio come un bambino, "cattivo" solo agli occhi degli altri, ma nella maggior parte dei casi in buona fede. La storia racconta un percorso verso la responsabilità, nei riguardi di se stessi e del prossimo, e da questo punto di vista il film porta a casa il suo risultato didattico.
Certo un passo significativo verso il coinvolgimento di un pubblico più adulto non viene fatto, anzi ci si concede in alcuni campi lunghi di sostituire con un modello in CGI persino Domhnall Gleeson, per accentuare alcune scene fisiche ridicole: i bambini in sala ridono, ma si nota e il risultato non è troppo aggraziato.
Eppure, c'è qualcosa di sorprendente in Peter Rabbit 2: Un birbante in fuga. Il primo lungometraggio lasciò perplessi molti (compreso chi scrive) per il modo in cui rese più "yankee" e hollywoodiana la narrazione favolistica inglese di Beatrix Potter, abbracciando le regole estetiche e narrative dei film a tecnica mista come Hop, Sonic - Il film o Alvin Superstar. Non sappiamo allora cosa pensare leggendo tra le righe, perché nella storia lo spirito rurale di Bea viene stravolto dalle regole del marketing e dello show business rappresentato dal personaggio dell'editore senza scrupoli: a un certo punto addirittura uno staff di sceneggiatori le suggerisce situazioni stereotipate che funzionino per il prossimo libro, adatti a un generico gusto di massa. Con una certa sfrontatezza, il film stesso le adotta una per una da lì in poi! Autoironia da parte del regista o presa in giro di chi aveva criticato il primo film, quasi a volerci dire: "Eppure queste cose funzionano, non potete negarlo"? Fornire una risposta non è semplice: nel frattempo, Peter Rabbit 2 divertirà chi, per età o serenità, si accontenterà del prodotto standard che comunque rappresenta.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"