Aus dem Nichts: recensione del dramma di Fatih Akin con Diane Kruger in concorso al Festival di Cannes 2017
Il terrorismo interno tedesco che colpisce gli immigrati.
Non ha mai avuto paura di osare, Fatih Akin. Regista tedesco di origine turca, ha fatto irruzione con un film energico e senza compromessi come La sposa turca, vincitore dell’Orso d’oro nel 2004; una scarica di vitalità subito adottata come esemplare dalla minoranza turca in Germania. La sua carriera è proseguita raccontando i ponti e le rotture nel rapporto fra le sue due patrie, sempre in tono minore, però, non riuscendo mai a replicare quell’equilibrio fra rabbia e narrazione. In questo periodo denso di nubi, affronta in Aus dem Nichts il tema più complesso di tutti: il terrorismo. Per farlo ha scelto Diane Kruger, attrice così internazionale che è al primo ruolo in cui recita nella sua lingua madre.
Katja ha un bambino e un marito tedesco di origine turca, uscito di carcere dopo alcuni anni di condanna per spaccio di stupefacenti. I due hanno costruito una famiglia e un’attività di sostegno per le minoranze in Germania. Un sogno spezzato da una bomba che lascia sola Katja, pronta a lottare per vedere incriminati gli esponenti della destra estrema da lei identificati nel luogo dell’esplosione fatale.
Akin vuole porre attenzione su una forma di terrorismo esistente, ma poco raccontato in epoca di stragi dell’ISIS per tutta Europa: quello interno, bianco, razzista e ispirato ancora alle storture ideologiche della supremazia della razza ariana. Insomma, non c’è solo il fondamentalismo religioso contro cui combattere, ma anche quello nazista, che denuncia con tanto di riferimenti più precisi prima dei titoli di coda. Nel farlo mette in scena un dramma processuale prevedibile, dall’estetica sinistramente vicina a non indimenticabili prodotti tedeschi televisivi d’esportazione, ripercorrendo dinamiche mille volte raccontate, non preoccupandosi oltretutto di risultare accurato fino in fondo. Quello che stupisce in Aus dem Nichts è la mancanza di un vero sguardo sul presente, di un punto di vista che possa stimolare il dibattito, al di là della vendetta da thriller, della provocazione gettata nella fase conclusiva del film. Un capovolgimento, con perfetta simmetria rispetto alle dinamiche terroristiche di cui leggiamo ogni giorno, che appare come uno stratagemma per risollevare una storia poco appassionante.
Un vicolo cieco in cui si viene a trovare la protagonista, ma anche Akin, sospeso fra il dramma morale e il thriller processuale; la soluzione d’uscita suona ancor più discutibile, nella sua inevitabile portata esemplare, in un periodo di reazioni sofferte ma illuminate agli atti terroristici di questi tempi. Basti pensare alla folla a Manchester che reagisce spontanea all’attentato durante il concerto di Ariana Grande intonando Don’t Look Back in Anger (Non guardarti indetro con rabbia) degli Oasis.
Preparatevi a lunghe discussioni con i vostri compagni di visione, il dibattito post cinema sarà inevitabile. E almeno questo è un bene.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito