Nouvelle Vague, la recensione del film di Richard Linklater in concorso al Festival di Cannes 2025

17 maggio 2025
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Il regista americano ricostruisce con grazia e leggerezza di toni, senza ostentare nulla, la realizzazione di uno dei più grandi film della storia, Fino all'ultimo respiro. La recensione di Nouvelle Vague di Federico Gironi.

Nouvelle Vague, la recensione del film di Richard Linklater in concorso al Festival di Cannes 2025

Jean-Luc Godard, François Truffaut, Claude Chabrol e Suzanne Schiffman siedono l’uno a fianco all’altro nel buio di un cinema. Finisce il film, si scambiano commenti, al piccolo party che si tiene subito dopo, a casa del produttore, Godard, che è Godard, si aggira lamentandosi di non essere ancora riuscito a girare il suo primo film, demolisce quello che ha appena visto con due frasi secche davanti al padrone di casa. Quel padrone di casa, che è Georges de Beauregard, sarà quello che finanzierà Godard e permetterà la realizzazione di quello che è diventato uno dei film più belli e influenti di tutta la storia del cinema: Fino all’ultimo respiro.
Comincia così Nouvelle Vague, che di quel formidabile esordio godardiano è la cronaca della genesi, delle riprese, perfino (brevemente) del montaggio. Comincia così e prosegue con la proiezione a Cannes di I 400 colpi, con la visita di Roberto Rossellini alla redazione dei Cahiers du cinéma, dove ci sono tutti: Jacques Doniol-Valcroze, Rivette, Rohmer, Resnais, Varda, Jacques Rozier e gli altri. E poi arriviamo a Belmondo, a Jean Seberg, al primo ciak di quel film che, sotto la guida erratica, umorale, misteriosa, anarchica e disordinata, a volte perfino divertita di Godard, ha ridefinito le regole del cinema.

Richard Linklater, che è un regista di grande intelligenza, non ha pensato nemmeno per un istante, in Nouvelle Vague, di mettersi al livello del genio che racconta, dei tanti grandissimi nomi che appaiono nel suo film e che sono tutti interpretati da attori bravi e somigliantissimi (all’inizio, nei primissimi minuti, si teme l’effetto Bagaglino, che è però rapidissimamente scongiurato). Non ha nemmeno avuto, Linklater, la voglia e l’arroganza di mettersi a fare il cinefilo pensoso, l’autore altezzoso, quello che oltre a una storia vuole mettere sullo schermo una teoria, un rispecchiamento, una parafrasi ideologica. No, Nouvelle Vague racconta una storia, e la racconta nel migliore dei modi possibili: senza tirarsela, con efficacia, con una semplicità che è sintomo di capacità, e non di inadeguatezza.
Poi certo, Nouvelle Vague è girato in quello stesso bianco e nero dei capolavori che racconta, e Linklater - sempre con una discrezione che indica la consapevolezza di non dover dimostrare niente a nessuno - infila spesso e volentieri nel suo film delle piccole citazioni visive. E nel racconto delle giornate di riprese, nella replica di scene entrate di prepotenza nella storia del cinema, c’è una mimesi che è tanto necessaria quanto affettuosa.

Il merito più grande di Linklater, però, è quello di aver donato a Nouvelle Vague una grande leggerezza, una giocosa spensieratezza. Che sono fondamentali, mi permetto di credere, per fare cinema e per ogni approccio creativo, perché diventano da sole grande libertà mentale e intellettuale. Raccontati da Linklater, i giganti della nouvelle vague francese sono amici che ridono, si prendono in giro, e così facendo si supportano a vicenda. E lo stesso Godard, che Linklater racconta per quello che era - un genio, un visionario, e un uomo difficile - senza fare sconti né al contrario farne il santino, mostra nel film anche il suo lato più leggero, ironico, umoristico. Capace, in certi momenti, di non prendersi troppo sul serio e di farsi prendere in giro dai suoi attori e della sua troupe senza però mai dimenticare la serietà dell'obiettivo che si era posto. Senza dimenticare nemmeno che c’è della gioia nella fatica di fare un film, e che anche chi ha l’ego di Godard può permettersi di sorridere e far sorridere.
E allora ecco che Nouvelle Vague non è solo l’omaggio a un capolavoro e a un genio; un’altra lettera d’amore al cinema; un film che potrebbe e dovrebbe ispirare tanti giovani aspiranti registi. È anche il film che ricorda a tutti noi magari il cinema non lo facciamo, ma che lo vediamo e ne parliamo per passione o professione, che ci si può rapportare ai capolavori con leggerezza e semplicità, e non solo con aria pensosa e letture ardite e profonde. Il capolavoro non se avrà a male, fidatevi. Tutt'altro.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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