Nobi - la recensione dal Festival di Venezia del film di Shinya Tsukamoto
Tsukamoto racconta l'orrore e l'assurdità della guerra assaltando i sensi dello spettatore.
Di autori che hanno voluto raccontare con i loro film l'orrore e l'assurdità della guerra, è piena la storia del cinema. C'è però da dire anche che forse nessuno aveva tentato di metterla in scena con la radicalità allucinata e aggressiva di Shinya Tsukamoto.
Fin dai suoi primissimi minuti, infatti, Nobi è un vero e proprio assalto ai sensi dello spettatore, che si fa progressivamente sempre più violento col procedere della storia e il perdersi del protagonista in un labirinto di orrori fatto di giungle, fame, sangue, carne e morte.
Il peregrinare solitario e non di un soldato giapponese, alla ricerca di una fuga e dalla sopravvivenza sull'isola del Pacifico dove il suo esercito è affamato e massacrato, viene raccontato da Tsukamoto come un lento e inesorabile scivolare nella follia singolare e collettiva, come un incubo a occhi aperti che non offre mai possibilità di risveglio e nel quale l'orrore è quello che deriva da sé stessi e dalla natura umana. Tamura, interpretato dallo stesso regista, sarà costretto dalla fame, dalle circostanze e dalla febbrile crudeltà della guerra a sprofondare nelle sabbie mobili della sua animalità, a lottare con tutto sé stesso per non perdercisi dentro, per non mollare quel barlume di umanità che, se non la vita, è l'unica cosa che può salvargli un'anima segnata per sempre.
Per Tsukamoto, il dramma di Tamura è quindi quello di Tetsuo, quello della lotta contro una trasformazione fagocitante e orrorifica, e lo stile con cui raccontare la sua storia allucinante è, di conseguenza, esattamente lo stesso: o forse una parziale evoluzione. Inquadrature, montaggio, utilizzo del sonoro garantiscono alcune scene di inusitata potenza e crudeltà, ma proprio perché tanto, troppo coerenti con tutta l'opera passata del regista, non riescono a mantenere Nobi su alti livelli.
Fosse arrivato vent'anni fa, o anche quindici, ci saremmo trovati di fronte a un'opera sconvolgente e innovativa: oggi se ne può lodare comunque l'aspetto tecnico, e riconoscere come alcune scene e alcune trovate siano ottimamente funzionali al disegno teorico e ideologico che Tsukamoto ha voluto portare avanti. Ma Nobi arriva nel 2014, e il tempo e il cinema che sono transitati nei nostri occhi nel frattempo, alla sua potenza di fuoco ha messo una sorta di silenziatore, emotivo e visivo, che ne limita grandemente le ambizioni.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival