Noah - la recensione del kolossal biblico con Russell Crowe
Il regista Darren Aronofsky schiva il sacro e abbraccia artisticamente il mito del diluvio universale, facendo di Noah la propria arca di ossessioni.
Di fedele alla Bibbia, c’è solo la Bibbia. Il regista Darren Aronofsky (ateo con radici ebraiche) si prende le necessarie licenze per illustrare una delle storie più conosciute al mondo, vissuta dal popolo come una fantasiosa leggenda mitologica o come un serio monito a non ripetere errori che potrebbero portare ad una nuova punizione divina. Andare a scomodare il libro della Genesi del Vecchio Testamento che è alla base del credo di molti fedeli ebrei e cristiani, significa esporsi a prescindere. Soprattutto se il regista in questione non esita nell’apportare modifiche per assecondare la propria visione. Aronosfky si fa inevitabilmente dei nemici, ma non sbaglia nell’approcciare la storia di Noè secondo l’unico modo possibile: quello artistico.
A differenza di quanto fatto da Mel Gibson con La passione di Cristo, Aronosfky schiva la sacralità del testo e si concentra su un uomo e la sua devozione al compito che deve portare a termine. In Noah il nome di Dio non è mai chiamato in causa (o invano) se non come "il Creatore" e in questo il regista non vuole rispettare uno dei comandamenti, piuttosto tiene a sottolinerare la connotazione ateista della sua opera. Il Creatore non è mai raffigurato nonostante tra le righe se ne percepisca la crudeltà punitiva attraverso le sue azioni e motivazioni, intrinseca alla storia perché con il diluvio spazza via la razza umana rea di troppi peccati, oltre che per l'invio sulla Terra delle anime degli Angeli Caduti, dimostratisi compassionevoli con gli uomini. Infine il divino si dilegua quando Noah ha più urgenza del suo consiglio.
Questa costruzione narrativa facilita l’immedesimazione con il personaggio interpretato da Russell Crowe. C’è n’è bisogno in quanto è sull’uomo che tutti prendono per pazzo e che poi rasenta la pazzia lui stesso, che Aronofsky costruisce l’intero film. Noah è l’arca del regista, il contenitore di tutte le ossessioni, le paure e i sacrifici che la storia porta con sé. Un uomo la cui abnegazione non è seconda a niente e a nessuno, nemmeno alla sua stessa famiglia e alla futura progenie che lui vorrebbe eliminare perché impura, così come la sua mente diventa in preda al delirio. Crowe è convincente grazie soprattutto al supporto della moglie interpretata da Jennifer Connelly. Se l’attrice non fosse credibile nel ruolo, Noah stesso finirebbe affogato nelle acque universali.
Sfiorando il tema della creazione, l’Eden, Adamo, Eva, il serpente e la mela, il film dimostra qualche imbarazzo scegliendo soluzioni di montaggio rapide e stilizzate nei disegni generati al computer. Gli Angeli Caduti diventano mostri di roccia con voci cavernose che si rifanno ad una moderna ispirazione fantasy. Ciononostante Noah conserva un’autorialità di fondo che lo rende un’apprezzabile rivisitazione di una storia classica, con qualche compromesso obbligato con l’approccio hollywoodiano al genere biblico, ma più personale di tanti altri kolossal ad alto budget.
- Giornalista cinematografico
- Copywriter e autore di format TV/Web