Morto Stalin, se ne fa un altro: recensione della scatenata satira diretta da Armando Iannucci con Steve Buscemi

03 gennaio 2018
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Due pirotecnici giorni fra la morte del dittatore e il suo annuncio pubblico.

Morto Stalin, se ne fa un altro: recensione della scatenata satira diretta da Armando Iannucci con Steve Buscemi

La dittatura più spietata raccontata come una commedia nerissima, all’insegna dell'adagio: “una risata vi seppellirà”. Siamo nella notte del 2 marzo 1953, all’interno dei massimi circoli di potere di un'Unione Sovietica reduce dalla trionfale e sanguinosa vittoria del 1945 e con una nuova guerra, fredda, pronta a decollare, ma anche da vent’anni di terrore staliniano giunto ormai al parossismo, con una paura di dire qualsiasi cosa, di essere svegliati nel cuore della notte e portati nei gulag, pieni ormai delle migliore intelligenze del Paese. Anche dei migliori medici, beffa per il dittatore Josep Stalin, che durante la notte si sente male e muore. Occasione per un gioco di ruolo degno delle migliori serate passate a giocare a Cluedo durante le feste; solo che questa volta la ricerca non sarà dell’assassino, visto che è proprio quello appena morto ad esserlo stato in maniera seriale e spietata, ma del successore, fra i membri del Presidium più vicini a lui.

Il più grottesco, in questa tragicommedia, è il colonnello Mustard della situazione, a cui somiglia anche fisicamente, Berija, leader dei servizi d’intelligence NKVD, predecessori del KGB, e scrupoloso compilatore di proverbiali liste di morte che seguivano ogni cambio di vento. Bastava un refolo o uno sguardo per finire fra i dead man walking. Insieme a lui altre figure celeberrime come Molotov, il ministro degli esteri, non si capisce bene se caduto in disgrazia o meno, il vincitore di Stalingrado, generale Zukov, l’inetto vice, il burattino Malenkov, per non parlare dei figli di Stalin, il beone Vasilij e la povera Svetlana, animo sensibile da scrittrice, il cui amato regista Aleksej, ebreo, fu fatto fuori dal poco amorevole padre in un gulag; e infine Nikita Krusciov, destinato a un ruolo importante nel decennio successivo. 

Un ritmo frenetico da coreografia farsesca, almeno nella prima parte, seguito da un più riflessivo momento di disperazione nazionale, con il corpo di Stalin esposto alla reverenza di una quantità torrenziale di cittadini, non si sa per omaggiarlo o per assicurarsi di persona della sua morte. Immobilismo solo apparente, in realtà il momento decisivo per la giostra che decreterà chi finirà in disgrazia e chi al centro della terrazza gelida da cui si affacciavano i papaveri del regime, in alto sulla Piazza Rossa.

Morto Stalin, se ne fa un altro; per una volta titolo italiano all’altezza e in linea col tono satirico di un film, adattamento di una graphic novel francese, affidato alle mani sapienti, e caustiche al punto giusto, di Armando Iannucci. Scozzese di origini italiane - padre napoletano e madre di Glasgow - si è fatto un nome seminando fiele e ironia nei corridoi del potere, con le serie Veep e prima The Thick of it.
Il clima di quei giorni è reso con dialoghi taglienti ed efficaci (del tipo, “sono esausto, non ricordo più chi è morto e chi no), talvolta di grana grossa e farseschi, in maniera da rendere bene, per paradossale che possa sembrare, quell’atmosfera di raggelato terrore collettivo, quella patina costante di dissimulazione. Una cancrena etica facilmente messa in parallelo con la malattia fisica del suo untore, dopo la quale morte rimane, non il peso dell’anima, ma “una puzza da pisciatoio di Baku”.

Senza il leader il comitato centrale è ossessionato dal quorum, anche per decidere di chiamare un dottore. Iannucci si diverte a indagare il rapporto impossibile fra dittatura e scienza, irrazionalità e raziocinio, mettendo al centro della sua storia un cadavere, ma soprattutto un'icona, una figura di cui si accenna una predisposizione per la musica classica, unico barlume di umanità che accomuna questi grotteschi sbandieratori del motto “non puoi mai fidarti di un uomo debole”. Parole che vanno bene anche oggi, pur con una corruzione del potere declinata in maniera più omeopatica.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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