Moonage Daydream: recensione del documentario che ricorda l'immenso David Bowie
Presentato fuoci concorso a Cannes 2022, il film è diretto dal Brett Morgen che già aveva raccontato Kurt Cobain in Cobain: Montage of Heck. Un documentario esperienziale, che cerca di raccontare in maniera quasi sperimentale la complessità e la varietà dell'artista Bowie.
Quasi due ore e venti di immagini inedite, private, di concerti e di backstage, di interviste televisive, spezzoni di film, quadri, video sperimentali, canzoni, suoni, rumori. Il modo in cui Brett Morgen (che è quello di Cobain: Montage of Heck) ha scelto di raccontare un gigante come David Bowie è quasi sperimentale, caleidoscopico, multiforme e sorprendente. È trascinante.
Perché trascinante, multiforme, sorprendente, sperimentale e caleidoscopico è stato lui, David Bowie (e per favore: si dice “bòui”, non “bàui”).
Bowie il cantante, Bowie il trasformista. Bowie il pittore, il videomaker, l’attore, il mimo. Bowie l’artista “generalista”, come dice lui. Bowie l’icona di stile, pioniere della moda, il sex symbol anticipatore della fluidità sessuale in questi giorni così chiacchierata (davvero Achille Lauro? davvero?).
Bowie l’alieno, l’uomo caduto sulla Terra. Il filosofo. Il Bowie che non si è mai fatto davvero conoscere nonostante l’aver fatto della sua vita un’opera d’arte. E pure, ahilui, ahinoi, della sua morte: ascoltare Blackstar per credere.
E difatti, proprio con Blackstar, e tutto ciò che di commovente porta con sé, si conclude Moonage Daydream.
A partire, invece, si parte con Hunky Dory. Anzi, con The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. Quello che era venuto prima, d’altronde, l’ha raccontato (non tanto bene) di recente Gabriel Range in Stardust. Che, infatti, aveva come sottotitolo Bowie prima di Bowie.
Si parte da lì, da quello show, da quelle performance, da quel successo. E poi si segue la carriera, e i suoi spostamenti: Los Angeles, Berlino, i viaggi in Oriente. New York. E poi Iman. E poi tutto il resto. Con la musica che è sempre presente e protagonista ma mai predominante, perché Bowie era molto più di un cantante, un cantautore, un musicista.
Morgen lo sa, non si permette nemmeno da lontano di azzardare ipotesi e definizioni, lascia che sia Bowie a raccontare sé stesso, a perpetrare la sua complessità, il suo mistero, la sua ricerca mistica e filosofica di un’identità. Sempre refrattario alla sedimentazione, sempre pronto a mutare. A evolversi. Ad accettare il cambiamento quando non a provocarlo.
Moonage Daydream prende lo spettatore e lo immerge dalla testa ai piedi nel suo mare di immagini, suoni, sensazioni e parole, e regala un ritratto esperienziale e multisensoriale di un artista che ha sempre cercato di non rimanere mai immobile, mai davvero a fuoco, ossessionato dalla voglia di rinnovarsi, e di trovare qualcosa dentro sé stesso. Qualcosa che, alla fine, pareva aver trovato, solo di fronte all’inevitabile.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival