Mental, la recensione del film di P.J Hogan
L'australiano P. J. Hogan è un personaggio assurdo. Abbiamo la presunzione di pensare che l'epiteto non l'offenderebbe, dato che ha programmaticamente intitolato il suo ultimo film Mental, Malati di mente
L'australiano P. J. Hogan è un personaggio assurdo. Abbiamo la presunzione di pensare che l'epiteto non l'offenderebbe, dato che ha programmaticamente intitolato il suo ultimo film Mental, Malati di mente. Fattosi notare sulla scena internazionale con Le nozze di Muriel, che lanciò peraltro la carriera di Toni Collette, qui di nuovo protagonista, Hogan esce ed entra dall'eccentricità in tutti i sensi: nella sua carriera, dirigendo per Hollywood il canonico Il matrimonio del mio migliore amico con Julia Roberts, omaggiando il Peter Pan di Barrie o partorendo all'opposto la confusione di Insieme per caso. Mental avrebbe seriamente corso il rischio di impantanarsi nell'eccentricità fine a se stessa di quest'ultimo, ma qualcosa qui funziona di più. La madre di famiglia Shirley sogna per lei e le cinque figlie una vita idilliaca "come i von Trapp" (da Tutti insieme appassionatamente), ma la realtà è ben diversa: non riesce a metabolizzare il suo disastrato matrimonio con il marito Barry, che si vergogna di lei, impegnato a fare il sindaco della cittadina australiana in cui vivono. Sorella e vicinato la considerano una folle totale, nomea che si sta estendendo alle figlie. Quando viene rinchiusa in manicomio, la misteriosa e disinibita Shaz diverrà per tutti, giovani e adulti, una governante dai metodi poco ortodossi.
Il modello dichiarato (per scherzo o sul serio, difficile dirlo) è Mary Poppins, ma dimenticate la leggibilità d'intenti del cinema di massa: sulle prime i colori accesi di fotografia, scenografia e costumi accolgono chi guarda in un cartoon aggressivo e acido. Prima che il passo esagitato venga a noia, Hogan però rallenta e cerca l'affondo drammatico, una mossa molto pericolosa con queste premesse, ma che gli riesce in primis grazie agli attori, in grado di far trapelare l'umanità anche nel delirio lisergico: Toni Collette lo aiuta con un'interpretazione a corpo morto, servita da comprimari in parte, tra cui nomi famosi come Anthony La Paglia e Liev Schreiber, visibilmente divertiti dai loro personaggi ma non tanto da dimenticare di recitare. La morale di fondo ("Chi può dirsi sano di mente?") è tra le più risapute, ma Hogan ha il pregio di far coincidere sostanza e forma. Sballottolati tra montaggi sincopati, sospensioni liriche, dolore, grandangolari, gag triviali, malinconia e demenzialità, si può essere contagiati gravemente dalla pazzia del film intero: dev'essere capitato anche al produttore esecutivo Jerry Zucker, che in curriculum non a caso ha L'aereo più pazzo del mondo ma anche Ghost.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"