Disorder - La guardia del corpo: recensione del thriller paranoico con Matthias Schoenaerts e Diane Kruger
Un thriller paranoico, Disorder di Alice Winocour, costruito intorno a pochi elementi e molta ansia, dei protagonisti e quella che suscita nello spettatore, alle prese con qualcosa che dall'esterno turba una ricca donna e la sua guardia del corpo.
Sono pochi gli elementi utilizzati da Alice Winocour per declinare la sua idea di thriller paranoico, con tutti i crismi di uno dei generi più affascinanti del cinema americano degli anni ’70. Sono due persone e un bambino, in Disorder - La guardia del colpo, a venire catapultate in un contesto improvvisamente ostile, dopo che la normalità della vita quotidiana viene interrotta da un evento scatenante poco chiaro, almeno visto dall’occhio del ciclone.
David è l’ennesimo personaggio tormentato, e riuscito, a cui Matthias Schoenaerts ci ha abituato. È un reduce dall’Afghanistan, che è rimasto con la testa ancora lì, in guerra. È vittima della sindrome da stress post traumatico, si imbottisce di farmaci in attesa del via libera per tornare in missione, frequenta altri reduci solo quando è a corto di pillole. Nel frattempo accetta un lavoro per occuparsi per due giorni della sicurezza di Jessie (Diane Kruger), mentre il ricco marito imprenditore libanese è via per un viaggio d’affari. I due si ritrovano, quindi, improvvisamente soli all’interno della sontuosa villa vicino al mare di nome Maryland, come il titolo originale del film.
Con la testa ancora in Afghanistan, si diceva, parlando di David. E in fondo la vita chiusa nella ricca proprietà ricorda proprio la tensione e la paranoia dietro l’angolo di un gruppo di militari in territorio ostile. Le telecamere da sorvegliare, il piccolo figlio Alì da controllare, e un salto in spiaggia che scatena le angoscie e le allucinazioni del reduce, che stona con la calma apparente di quella realtà. Una calma che però presto dimostra come la minaccia esterna percepita da David non sia frutto solo di allucinazioni.
Disorder è uno studio reciproco fra due personaggi, fra sguardi e poche parole, in cui cresce una tensione strana, fatta di fascinazione ma anche di poca comprensione reciproca. La Winocour è abile a giocare con la fascinazione del cinema come macchina artigianale che induce emozioni con semplicità, senza effetti digitali o frenetici movimenti di macchina. David ha il terrore di non ripartire in missione, e diventare quindi inutile, di perdere la sua stessa funzione sociale e personale. È sempre suo il punto di vista, ma anche lo sguardo che seguiamo, ingenerando in questo modo lo spaesamento di chi lotta fra gli effetti del suo trauma, quelli collaterali dei farmaci che assume, e l’istinto di chi è stato addestrato per percepire il pericolo e reagire in maniera automatica, come una macchina.
In questo modo quello che succede intorno non ci è noto, non più di quanto sappiano David e Jessie, sempre più chiusi dentro la villa e vittime di un’evoluzione dei fatti all’esterno che li mette a rischio. Disorder si basa su reazioni istintive e primordiali da parte dello spettatore, quasi involontarie, evitando di filtrare quello che accade con una valutazione razionale. Asciutto, minimale eppure affascinante.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito