Madre!: recensione del film con Jennifer Lawrence presentato in concorso al Festival di Venezia 2017

05 settembre 2017
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Darren Aronofsky torna con un film che ne conferma le grandi ambizioni e gli ingombranti limiti.

Madre!: recensione del film con Jennifer Lawrence presentato in concorso al Festival di Venezia 2017

Dopo un’immagine incendiaria e inquietante (della quale conosceremo la logica - vabbè - solo alla fine del film) Darren Aronofsky apre il suo Madre! col risveglio di Jennifer Lawrence in un letto, in cui giace sola.
Il suo compagno non c’è, e allora lei si alza, seguita dalla macchina da presa, per cercarlo nella grande casa isolata che è il teatro unico delle vicende, vestita solo di una leggera camicia da notte bianca, aderente, che lascia intuire le forme della giovane attrice, le rivela in trasparenza, e in controluce.

Una scelta legittima, ma che appare rivelatoria della furbizia un po’ facilona con cui il regista americano cerca di ingraziarsi i suoi spettatori, e di uno sguardo tutto maschile su personaggi e vicende che hanno - tra le tante altre - l’ambizione di raccontare il femminile.
Il femminile di mother!, però, è sempre figlio una proiezione e un’interpretazione maschile, troppo semplicistiche, decisamente riduttive, e perfino piuttosto autoassolutorie.

Jennifer Lawrence è infatti la giovane moglie di Javier Bardem, scrittore e poeta in crisi creativa, che gli si dona completamente, (ri)costruendo letteralmente con le sue mani la casa dove abitano, prendendosi cura di lui, sperando d’ispirarlo, ma invano. Perché il poeta non ha bisogno solo della sua musa, di un amore da ingurgitare egoisticamente senza dare nulla in cambio, ma anche del Mondo, e della Fama.
Un Mondo e una Fama che entrano letteralmente in casa, dapprima come in un home invasion che rifà il verso a Rosemary’s Baby di Polanski, con un’intrusività perversamente generativa; e che poi irrompono in modo allucinato, violento e caotico, con una distruttività che è (anche) specchio delle paure e delle ansie di una donna, di una moglie e di una madre.  

Diviso a metà, con una prima parte che gioca la carta dell’horror psicologico e intimista, e una seconda che diventa barocca e massimalista (dove sembra quasi di vedere il caos dei Figli degli uomini essere concentrato in un unico luogo, e piegato alle esigenze allegoriche del suo autore e della storia), mother! affastella temi e situazioni, sfoga progressivamente un’ansia quasi rabbiosa di provocazione visiva, mira sempre più altro e cade sempre più in basso: le allegorie di Aronofsky hanno uno spessore da quinta elementare, un’ingenuità di base sconfortante, nonostante l’abito buono e intellettuale, artistico, che il regista tenta di mettere loro addosso.
Osa, il regista, come ha sempre fatto, osa con la metafisica del pensiero e dello sguardo: fa bene a farlo, ma il pensiero e la sua traduzione in immagini scadono progressivamente in una pacchianeria ridondante, rivelano la loro natura artificiosa e un po’ presuntuosa. Che spesso, e nel migliore dei casi, fa sorridere.

Una donna che si dona e ha paura (e dagli torto, considerato quel che succede) a condividere l’oggetto del suo amore, che crea per amore e per altruismo mentre lui - l’uomo, l’artista - la usa soltanto come incubatrice del suo ego, come carburante per alimentare la sua vanagloria e il suo egoismo, che rinascono dalle loro ceneri solo grazie all’amore di lei.
D’altronde, Madre! di Darren Aronofsky si apre con Jennifer Lawrence che si aggira per casa rivelando le sue forme, no?



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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