Madagascar: "Mi piace quel che muovi... e allora muovi!", a 20 anni dall'uscita la nostra recensione del film

22 marzo 2025
3.5 di 5

Nel 2005 la DreamWorks Animation, dopo gli Shrek, proseguiva nel suo percorso di distinzione dalla concorrenza Pixar e soci, con una storia satirica e soprattutto MOLTO cartoon, in grado di piegare le consuetudini tecniche dell'epoca. Era Madagascar: "Mi piace quel che muovi... e allora muovi!"

Madagascar: "Mi piace quel che muovi... e allora muovi!", a 20 anni dall'uscita la nostra recensione del film

La zebra Marty sogna di esplorare la natura selvaggia, annoiata dal suo tran-tran nello zoo di New York, in compagnia del leone addomesticato Alex, dell'ippopotamo Gloria e della giraffa ipocondriaca Melman. Quando un tentativo di fuga di Marty e le sue conseguenze proiettano i quattro in mare aperto e su un'isola remota, il gruppetto capirà cosa significa tornare alle proprie radici. Specialmente Alex avrà qualche problema... ferino. Il re lemure Julien ha le sue idee su come si potrebbe utilizzare il suo instinto.

Madagascar del 2005 incarnava già molto bene la bussola che la DreamWorks Animation cominciava a darsi, dopo la prova generale dei primi due Shrek: un'identità diversa da quella pixariana, specialmente all'epoca cocca di boxoffice e critica. A quello stile questi artisti contrapponevano un orgoglio cartoon e un gusto satirico surreale di diverso respiro. La storia, scritta in parte dai registi Eric Darnell e Tom McGrath, prendeva in giro bonariamente il progressismo intellettuale, nella culla della grande città: i nostri eroi sono newyorkesi, urbanissimi, ingranaggio di un'armonia tutta cerebrale, che comprime la propria essenza più viscerale. Alex è un leone da psicoanalizzare, come sarebbe da analizzare un personaggio di Woody Allen (un nume tutelare ancora più evidente nelle paranoie di Melman): Alex è in crisi quando sull'isola realizza che, riattivati i suoi istinti naturali, dovrebbe considerare Marty una preda e non un amico. Questo contrasto in una storia di amicizia è l'unico effettivo cuore emotivo di una vicenda che nel suo insieme preferiva buttarla sulla risata pura e sullo stile, più che sull'ambizione narrativa.

Madagascar non aveva alcuna paura di divagare, anzi nelle sue divagazioni trovava gran parte del suo senso: non faremmo fatica dopo vent'anni a trovare fan della saga più affezionati ai comprimari come i mitici Pinguini cospirativi o l'assurdo re Julien, con la sua decerebrata dance "I Like to Move It" ("Mi piace se ti muovi"), un tormentone che avrà fatto impazzire più di un genitore all'epoca, per imposti ascolti in loop. Eppure c'era un gran lavoro di storyboard e di ritmo in questa irrequietezza, lontana dal rigore "alto" della Pixar, ma senza complesso d'inferiorità. Se la Pixar appariva disneyana, la strafottenza DreamWorks era più warneriana, compiaciuta della gag visiva e d'inquadratura. Si lasciaba anche un po' alle voci originali il compito di completare l'essenza dei personaggi, che si confondeva con la loro: se sai che Ben Stiller è il leone complessato, Chris Rock la zebra esuberante, David Schwimmer la giraffa ipocondriaca o Sacha Baron Cohen il lemure sbracato, "vedi" i loro personaggi tipo in questi animali caricaturali. È un assist su cui gli autori si appoggiavano volentieri: questo affidarsi così tanto ai talent era una caratteristica della DreamWorks del periodo, così come l'uso furbo di canzoni di repertorio a scopo parodistico, forti dell'apprezzamento del pubblico per gli sberleffi pop di Shrek.

A distanza di tanti anni si sopporta meno il dettaglio degli ambienti e delle folle, davvero troppo povero e spartano, invecchiato male... ma ciò non toglie che Madagascar era un film molto importante nell'evoluzione del cartoon in CGI, che al momento dell'uscita aveva appena una decina d'anni (il capostipite Toy Story è del 1995). Oggigiorno siamo abituati alla ricerca psichedelica, bidimensionale e piatta degli Spider-Man targati Sony, ma nel 2005 questo film rappresentò la prima grande produzione di una major a liberarsi di una costrizione: la fluidità. Tutta l'animazione americana aveva basato il suo sapore su alcune tecniche a mano libera comprovate dagli anni Trenta, come i movimenti a scatti e lo squash & stretch, che identifica quel tipo di animazione in cui un corpo può essere deformato, a patto che si tenga sempre in conto il suo volume complessivo. Era difficile farlo in CGI, che sarebbe rimasta per tanti anni ancora schiava del fotorealismo, ma Madagascar cercò già di rompere la convenzione, voleva essere un "cartone animato": Alex rimbalza senza peso per l'inquadratura, gli animali sono caricature anche bipedi, con proporzioni assurde, modellate per testare questo nuovo approccio e far scatenare gli animatori. Non c'era ancora l'irregolarità del frame rate che avremmo trovato in Il gatto con gli stivali 2 (2022), ma col senno di poi la DreamWorks, per ricerca tecnico-artistica e spirito, cercava già senza pigrizia una voce identificabile, che nei decenni sarebbe diventata via via più raffinata.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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