Mad Fate: recensione del film di Soi Cheang presentato al Festival di Berlino

20 febbraio 2023
3.5 di 5

Dopo Limbo, il regista di Hong Kong torna alla Berlinale con un film che appare agli antipodi di quello nell'estetica, ma che ne riprende i cupi contenuti. Mix liberissimo di thriller, noir, dramma esistenziale e commedia clownesca, è l'ennesima conferma del talento del suo autore. Recensione di Federico Gironi.

Mad Fate: recensione del film di Soi Cheang presentato al Festival di Berlino

Da quando il cinema di Hong Kong non è più il cinema di Hong Kong, inteso come quello dei quel due decenni in cui è stata la cosa più bella del cinema mondiale, a tenere alta la bandiera della ex colonia britannica è rimasto Soi Cheang, grandissimo talento che in Italia si conosce grazie allo splendido lavoro che si fa al Far East Film Festival. A Udine, infatti, i film di questo regista sono stati mostrati spesso e volentieri, compresi capolavori come Love Battlefield o Dog Eat Dog, o il più recente, bellissimo Limbo. E speriamo quindi che anche Mad Fate, così come accadde con Limbo, possa passare dalla Berlinale al FEFF per il piacere dei cinefili italiani.

Ennesima conferma del talento irregolare e visionario di questo autore, Mad Fate parte da premesse folli e sgangherate, che pure non abbandona mai, per raccontare una storia che sta all’incrocio tra un thriller, un noir, un dramma esistenziale e una commedia quasi demenziale.
Si parte in un cimitero, dove il protagonista (una specie di nevrotico santone-chiromante interpretato da Lam Ka Tung, bravissimo) cerca di effettuare un rituale fingendo la morte di una giovane prostituta, per liberarla da un cupo destino. Ma il destino, come Soi Cheang ripeterà a forza di colpi di scena per tutto il film, è difficile da fregare.

Fatto sta che dopo quel rituale andato male il nostro Maestro (così viene chiamato nel film) finirà con l’incrociare la sua strada, assai sfrotunata, con un killer di giovani prostitute, una sua possibile vittima, e soprattutto con un giovane mezzo matto e dalle tenedenze omicide malamente nascoste e represse. E la lotta del Maestro contro il destino, da quel momento, diventerà quella per impedire che il ragazzo commetta qualche fattaccio, e che la ragazza venga uccisa.

Se Limbo era cupissimo e in bianco e nero, Mad Fate è coloratissimo, coloratissimo di colori ultrasaturi, ma seppur venato di comicità clownesca racconta personaggi altrettanto senza speranza e una città violenta e degradata. E se il finale è agrodolce, il peso di certe cose, di certe scelte, di certe descrizioni ce lo si porta appresso anche una volta usciti dalla sala.
La cosa che però qui lascia davvero colpiti è come Soi Cheang è capace di gestire la schizofrenia dei toni del film con leggerezza e naturalezza, con l’aria di chi non si cura affatto di possibili critiche e dei nasi che si storcono, e di sconvolgere il feng shui del tradizionalismo cinematografico. Si tratti di strapazzare la quinta di Beethoven o di rendere uno sgraziato, in tutti i sensi, gatto nero in CGI uno dei dettagli più memorabili di questo film libero, complesso, filosofico perfino, ma sempre divertentissimo.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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