Lucy: la recensione del film di Luc Besson con Scarlett Johansson
L'autore francese realizza un film-caleidoscopio senza freni creativi.
Per gustarsi pienamente questa storia su una donna che arriva ad usare il 100% delle facoltà cerebrali, è necessario ridurre le proprie al 2%.
Lo chiede implicitamente il suo stesso autore Luc Besson il quale non confeziona un film, piuttosto un caleidoscopio che rotea per un’ora e mezza. Lucy non ha una linea narrativa da seguire e le informazioni sciorinate dallo scienziato Morgan Freeman (esattamente come fa nel suo programma scientifico su Discovery Channel) non sono altro che colpetti di mano al gomitolo, il cui srotolamento e inseguimento sono a cura del pubblico. Chi fa resistenza usando il cervello, fa male a se stesso.
Il film apre su due individui che stanno conversando in una strada di una città asiatica. Uno è un tizio con una valigetta che dopo cinque minuti non avrà più importanza (il tizio, non la valigetta), l’altra è Scarlett Johansson. Quest’ultima è costretta con un vile trucchetto a entrare in un hotel per consegnare la valigetta alla reception, trovandosi suo malgrado faccia a faccia con una gang di mafiosi coreani di alto profilo criminale. L’attrice è brava nel mostrare terrorizzato il personaggio che interpreta, una studentessa fuori sede a Taipei la quale, grazie a una droga sintetica, conquista la capacità di estendere la propria intelligenza ad infinitum. Besson sfrutta come presupposto la leggenda metropolitana che gli umani sappiano usare soltanto il 10% del loro cervello, per creare un film ricco di stravaganze visive e concettuali. Tale ricchezza ha due missioni: celare il fatto che il film stesso non vada da nessuna parte e procurare puro divertimento. Non è escluso, però, che il regista abbia intenzionalmente voluto realizzare il suo personale 2001: odissea nello spazio, considerati alcuni momenti in cui si sfiora l’interpretazione al “senso della vita”.
La progressione di Lucy verso l’uso integrale dell’encefalo fa di lei una ragazza con superpoteri. Come se ne vedono tante, ormai. L’assunzione della droga le garantisce una padronanza del proprio corpo e dell’ambiente circostante che può essere paragonata all’effetto delle pillole di Bradley Cooper in Limitless. Al 20% di attività cerebrale può manipolare congegni elettronici, scansionare corpi umani rivelando organi danneggiati, cambiare all’istante lunghezza e colore dei propri capelli. Il suo corpo intanto va in astinenza e senza quella sostanza sintetica rischia di disintegrarsi. Descrivere cosa possa fare Lucy agli step successivi del 40%, 60% e 70% sarebbe crudele. Bisogna vedere per capire i livelli di sublime grotesque al quale Besson riesce ad arrivare, tra un’irrinunciabile inseguimento d’auto sulle strade di Parigi e una resa dei conti a revolverate. Da notare ed elogiare, in tutto questo, l’unica parentesi emotiva del film che consiste in una telefonata fatta da Lucy a sua madre. Già sotto l’effetto della droga, la ragazza ricorda i momenti di se stessa neonata e il primo istinto è quello di chiamare i genitori per dire: grazie, vi voglio bene. Onestamente, un pensiero che chiunque dovrebbe avere anche senza facoltà amplificate.
- Giornalista cinematografico
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