Louisiana: la recensione del documentario di Roberto Minervini presentato a Cannes 2015
Un duro percorso nell'America profonda.
Gli Stati Uniti sono un continente più che un Paese. Se nell’immaginario collettivo sono rappresentanti dalle grandi metropoli delle due coste e gli splendidi scenari paesaggistici, in politica interna molto si decide nel mezzo. In una fascia centrale che va da nord a sud, che rappresenta il ventre molle degli USA e ottiene visibilità assoluta solo durante le campagne presidenziali. In questo angolo dell’impero il documentarista Roberto Minervini, marchigiano da quindici anni in America, ha stabilito la sua residenza. Negli ultimi anni ha raccontato in una trilogia il Texas, conclusa da Stop the Pounding Heart, presentato con successo a Cannes.
Tempo per lui di spostarsi qualche chilometro dalla sua Houston e di sfruttare i contatti per avere un accesso privilegiato nel mondo dei marginali della vicina Louisiana. Il titolo originale, The Other Side, ci fa capire come il suo obiettivo sia sempre quello di scavalcare il campo, di illuminare quello che di solito rimane al buio. Il suo è un cinema documentario che organizza quello che riprende, oltre a catturare lo spontaneo fluire degli eventi. Siamo lontani dal distacco dell’autore che si mimetizza in modo da rendersi invisibile, riprendendo solo quello che succede di fronte al suo obiettivo; ma anche dall’invasione totale dell’inquadratura come accade con Michael Moore. È un cinema mediano, curato formalmente, embedded, che partecipa alle vicende di varia disperazione che colpiscono i protagonisti.
In Louisiana si incontrano diversi personaggi, con le loro storie che si concludono brutalmente per lasciare spazio ad altre. Ci sono dei tossicodipendenti, che vivono con scientifica routine le loro giornate segnate dall’assunzione di enormi quantità di metanfetamine; poi i membri delle milizie, paramilitari cultori del secondo emendamento, quello sulla libertà di possedere armi. Rappresentano l’estremo rivolo rimasto della secolare tradizione che, dai pionieri al tea party, propugna un’idea di libertà molto autoctona: quella di difendere se stessi e i propri cari con ogni mezzo, di possedere per questo motivo praticamente qualsiasi tipo di arma. Una libertà dall’invadenza di un governo che secondo loro li opprime e spreca risorse in guerre all’estero.
Un senso di crescente disagio aggredisce lo spettatore del film di Minervini, catapultato in un microcosmo sociale morboso in cui è difficile trovare appigli: che siano umani, sociali o politici. I protagonisti di Louisiana sono le marginalità che nelle capitali a stelle e strisce vengono tenute nascoste, quasi rivoli di scarico ed effetti collaterali della propensione americana a conquistare i mercati globali. Un mondo autoriferito, riunito in comunità, uno stato nello stato, quantomeno dal punto di vista emotivo. Più viscerale e disperato di Stop the Pounding Heart, il film non insegue le sfumature, ma va dritto allo stomaco. Allo spettatore il compito di schivare il colpo.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito