Looper - In fuga dal passato: la recensione del film di Rian Johnson
Viaggi nel tempo e scelte esistenziali nel bel film di Rian Johnson, finalmente in uscita anche in Italia.
Capita sempre più di rado, nel cinema degli ultimi anni, di imbattersi in un film di ambientazione fantascientifica in grado di catturare dalla prima all'ultima sequenza e di creare un mondo affascinante e plausibile sulla base di pochi e suggestivi elementi. A Rian Johnson tutto questo riesce benissimo col suo sorprendente e accattivante Looper. Per goderselo come merita è consigliabile andare al cinema senza saperne niente, vederlo - se possibile - in lingua originale e solo dopo leggere le recensioni.
Kansas, 2044. Un ragazzo, seduto in un campo con degli auricolari nelle orecchie, si sforza di ripetere il presente del verbo avere in francese. Poi si alza in piedi, di fronte a un telo bianco. Aspetta, nel silenzio della campagna, quando all'improvviso un'apparizione inattesa e uno sparo squarciano la pace del luogo. E' un inizio folgorante per un film che tiene fede alle aspettative e che alla fine chiude tutti i suoi loop, come i singolari killer che lo abitano. Un loop è un circolo, un ciclo, un anello, un serpente che si morde la coda, è inizio e fine, passato e presente, alfa e omega. La doppia o contenuta nella parola rimanda, come ci mostrano i titoli di testa, al simbolo dell'infinito.
Looper è un loop cinematografico, racchiuso tutto tra lo splendido inizio e il commovente finale, capace di applicare i codici del genere senza attenersi ad essi come ad una Bibbia. Dobbiamo accontentarci, come fanno i suoi personaggi: Abe (“questa roba dei viaggi nel tempo ti frigge il cervello”) e il Joe maturo (“se iniziamo a parlare di questa merda, possiamo star qua tutto il giorno a fare diagrammi con le cannucce”). E' un dato di fatto: il viaggio nel tempo, 30 anni dopo il presente di Joe, esiste ed è sfruttato dalle grandi organizzazioni criminali, per far sparire senza conseguenze i propri nemici. A Johnson non interessa addentrarsi più di tanto in un tema notoriamente a rischio: in questo senso Looper somiglia un po' a Ritorno al futuro, di cui, trattandosi di una commedia, nessuno ha mai valutato fino in fondo la “plausibilità”.
Looper in fondo è un classico noir, innestato in una cornice vagamente sci-fi dove i viaggi nel tempo, in modo molto poco glamour (secondo un'estetica più alla H.G. Wells che moderna), avvengono tramite capsule collocate all'interno di capannoni e dove, a 30 anni dal nostro presente, le moto volano su cuscinetti d'aria e le droghe si calano direttamente negli occhi col contagocce. Johnson crea volutamente una cornice quasi atemporale, un mondo da fumetto in cui l'antico (i blunderbuss che usano i looper - ovvero gli archibugi - gli spolverini, l'orologio di Joe, ecc) convive con l'invenzione più fantascientifica e ambita di sempre: la capacità di viaggiare nel tempo. Anche la telecinesi, esaltata in modo distruttivo dal personaggio del Rainmaker, è un fenomeno diffuso e usato come mezzuccio per far colpo sulle ragazze. In un mondo comunque pieno di risorse, l'umanità non si è affatto evoluta e continua ad usarle al peggio, la violenza regna sovrana e i poveri sono solo un bersaglio mobile per i criminali e i tossici che girano per le strade a tutta velocità.
A Johnson tutto quello che interessa dei paradossi spazio-temporali è racchiuso nel personaggio di Joe, è il pretesto che gli serve per metterlo di fronte alla scelta più difficile della sua vita, per trasformarlo nell'arco del film da ragazzo sbandato, senza famiglia e senza passato (una specie di Oliver Twist del futuro) ad adulto che capisce di poter cambiare, in modo drastico e radicale, un destino che sembra già fissato. Looper è una storia d'amore, di riscatto e di maturazione in un mondo in cui l'impossibile è possibile e ogni cambiamento dello stato delle cose può essere fatale. E' questo il vero loop che Joe riesce alla fine a interrompere. Perché non è scritto che la vita si avvolga sempre su se stessa, ma c'è sempre una scelta per chi abbia voglia di cambiare il mondo e riaprire una strada alla speranza.
Ma, al di là di tutte le considerazioni e delle regole violate che i puristi del genere non gli perdoneranno mai, Looper è innanzitutto un fantastico entertainment, con un Joseph Gordon-Levitt dotato di un carisma che Bruce Willis alla sua età non aveva e che non si limita ad imitare l'attore che ha di fronte, ma ripropone un modello di eroe classico hollywoodiano alla Robert Taylor o alla Humphrey Bogart, abbigliamento incluso. Willis dal canto suo offre una delle performance più belle e mature della sua carriera, e i fan di John McClane non devono temere: Johnson non è Wes Anderson e non ha scelto il suo action-hero preferito per contenerne l'iconica fisicità: non si fa dunque mancare il classico “momento Willis”, con l'ecatombe di un esercito di cattivi compiuta da un uomo solo. Se a tutto questo aggiungiamo le ambientazioni, le atmosfere e le molte sorprese disseminate lungo il percorso, un bambino impressionante che ricorda certi personaggi di Stephen King, la solida performance di Emily Blunt e il bel villain dell'irriconoscibile Jeff Daniels (senza dimenticare Paul Dano, Piper Perabo e Garreth Dillahunt), non possiamo che essere grati a Rian Johnson per aver interrotto il loop ripetitivo delle nostre abituali visioni e averci fatto intravedere che un altro mondo, e un altro cinema, sono ancora possibili.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità