Le voci sole: recensione della commedia amara con Giovanni Storti

04 luglio 2022
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Giovanni Storti, del trio Aldo Giovanni e Giacomo, è protagonista di Le Voci sole, un film di Andrea Brusa e Marco Scotuzzi che si sofferma sulla solitudine della fabbrica e l’illusione social. La recensione di Carola Proto.

Le voci sole: recensione della commedia amara con Giovanni Storti

Si parla di un virus nel film di Andrea Brusa e Marco Scotuzzi Le voci sole, ma nessuno lo nomina mai, evitando a chi guarda di riandare con la memoria all'annus horribilis 2020 e all'altrettanto tremendo 2021. Si parla anche di una fabbrica come quelle che c'erano una volta, una fonderia nella quale l'individuo è ridotto a mera appendice di un apparato meccanico dall'aria sinistra. C’è inoltre, nel film, una famiglia costretta a dividersi a causa della crisi economica, con il marito e padre (Giovanni) che si trasferisce in Polonia per lavorare in una fonderia, mentre la moglie e madre (Rita) e il figlio rimangono a casa. Rita è ancora l'angelo del focolare dell’Italia che fu, ma siccome siamo (forse) nel 2022, può insegnare a Giovanni, grazie a videochiamate serali, come preparare gli spaghetti con il pomodoro, simbolo per eccellenza di un paese che, come scriveva Mattia Torre, "semplicemente mangia più di tutti gli altri paesi del pianeta".

Le voci sole è tutto contenuto in queste conversazioni, fra un appartamento triste e disadorno filmato da una macchina da presa fissa e una casa luminosa e vivace esplorata dalla camera a mano. Giovanni e Rita bisticciano amorevolmente mentre parlano di cottura e di sugo, ma quando, complice il figlio, una loro videochiamata finisce in rete, la coppia acquista in un battibaleno una popolarità incredibile. A questo punto il film diventa grottesco e sfiora perfino l’horror, perché altro non è se non la cronaca di una non tanto lenta ma inesorabile discesa agli inferi. Si tratta di un iter ben noto a chi ha familiarità con Internet, e l’incubo di Giovanni e signora è popolato non da streghe e da orchi ma da webstar, influencer, conduttrici radiofoniche melliflue e prodotti a cui fare pubblicità. E tutto filerebbe liscio per i coniugi che hanno saputo reinventarsi se non fosse per le cosiddette voci sole, che appartengono a chi sta fuori dal coro e disprezza e critica. E allora la domanda che sorge spontanea è: riusciranno i nostri eroi casalinghi a barcamenarsi fra pettegolezzi, rumors improbabili e detrattori furbetti? Non saremo noi a dirvelo, ma Giovanni e Rita, che non hanno gli strumenti per comprendere la grande illusione social, sono come falene attratte dalla luce di una lampada che è delizia e nello stesso tempo croce perché strumento di morte.

Sono bravi Brusa e Scotuzzi a insistere sull'ingenuità dei due protagonisti, incastrati in una terribile coazione a ripetere e mossi da un burattinaio invisibile sempre più avido e malevolo. Soprattutto riescono a raccontare, con grande immediatezza, la solitudine del web: mostruosa, terrificante e alienante proprio come quella della fabbrica, sottolineata, più e più volte, dal canto dei lavoratori polacchi nato durante la Seconda Guerra Mondiale.

Eppure il lavoro in fabbrica ha sempre conservato una sua dignità, e nel nostro immaginario è legato al potere operaio, alle proteste, alle rivendicazioni e agli scioperi, e alla fatica fisica. Ma la fatica fisica non esiste nelle giornate di un influencer che bombarda di foto in posa i suoi follower e guadagna cifre astronomiche. E allora ecco di nuovo l'orrore, la trappola, il vortice e l'ingiustizia sociale, e in un simile contesto per Giovanni e famiglia non è possibile una redenzione, come si converrebbe in un racconto morale. No, l’unica soluzione è la fuga, veloce e alla chetichella, e con la speranza di precipitare di nuovo nell'anonimato.

E’ un film intelligente Le voci sole, che rischia molto chiudendosi nelle due case e lasciando che Giovanni Storti e Alessandra Faiella, insieme al giovane Davide Calgaro, parlino a lungo al telefono, ed è un bene, in tal senso, che i registi abbiano fatto ricorso ad attori che vengono dalla commedia e che sono quindi perfettamente padroni dei tempi recitativi. Tutti e tre hanno lavorato di sottrazione, ma la loro briosità congenita ha consentito a Le voci sole di essere una commedia amara invece che una tragedia a tinte fosche. I registi, poi, fotografano la realtà mentre questa "accade", non perdono mai la concentrazione e filmano ciò che sta loro più a cuore. In fondo, questo è il bello del cinema indipendente, e quando un attore mainstream e che appartiene a un gruppo storico si mette al servizio di una visione così libera e spregiudicata, accade un prodigio, e il prodigio nasce dalla voglia di fare un film non per compiacere il pubblico, ma per esprimere qualcosa che si ha dentro e che può quindi raggiungere facilmente le persone.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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