Le nostre anime di notte: recensione del film Netflix con Robert Redford e Jane Fonda tratto dal romanzo di Kent Haruf
Dopo essere stato presentato al Festival di Venezia, sarà in streaming dal 29 settembre.
Staremmo qui a parlare di Le nostre anime di notte, se non fosse il film della reunion di Jane Fonda e Robert Redford? Se fosse lo stesso identico film, ma interpretato da un'altra coppia di attori?
La risposta, drammaticamente, è no.
E, in tutta onestà, va anche detto che non è che questi mostri sacri di Hollywood si siano impegnati su questo set più del minimo sindacale: una singola scena della Fonda in The Newsroom vale più di tutte quelle di questo film, e un discorso analogo potrebbe essere fatto per Redford.
Poi certo, stiamo sempre parlando di attori cui basta a volte alzare un sopracciglio o muovere un dito per far quello che altri farebbero sbracciandosi o contorcendo il viso, ed è grazie a loro due che questo adattamento del romanzo di Kent Haruf riesce a salvarsi dal più totale e drammatico anonimato, così privo di regia e di scrittura com'è, così patinato e omologato da far sembrare il testo (che non ho letto ma di cui mi dicon meraviglie) poco più che un romanzetto Harmony in versione geriatrica.
Inizia quindi a nascere un vago sospetto, riguardo le produzioni cinematografiche che portano il marchio Netflix: quello che sia in qualche modo legata alle esigenze del colosso dello streaming questa omogeneizzazione del racconto e delle immagini, fatta forse a uso e consumo di un pubblico che gli algoritmi vogliono soddisfare nel modo più ampio possibile, mirando a una sorta di minimo comune multiplo del gusto.
Peccato.
Perché si capisce comunque che il libro di Haruf racconta una bella storia, e che questa storia nasconda sotto la superficie dell'amore e del romanticismo tutta una serie di questioni non da poco che riguardano quei momenti in cui s'inizia fare il bilancio della propria vita, i conti con quegli errori, magari piccoli, che il tempo ha trasformato in problemi grandi e difficili da risolvere.
Si capisce, tutto questo, come si capisce altrettando chiaramente come nel film la banalizzazione sia stata spietata, chissà perché.
Allora, forse, per una volta meglio spegnere lo schermo, e mettersi distesi a leggere le poche pagine del romanzo, per cercare di emozionarsi e commuoversi davvero.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival