Ladyhawke: la recensione del film con Michelle Pfeiffer e Rutger Hauer
Una favola fantasy ultra-romantica diretta da Richard Donner nello stesso anno in cui ha girato I Goonies, e diventata anch'essa un amatissimo cult movie.
Nello stesso anno in cui gira lo spielberghiano I Goonies, e due prima di dare il via alla fortunata serie d’azione di Arma letale, Richard Donner è in Italia per girare una fiaba fantasy destinata a diventare un altro cult movie: Ladyhawke.
Inaugurati sotto il segno dell'Impero colpisce ancora, e proseguiti con Conan, Dune, La storia infinita, Legend, Labyrinth e Willow, gli anni Ottanta sono stati un decennio segnato da una curiosa attrazione hollywoodiana per il fantasy, che però Ladyhawke declina in una chiave realistico-romantica che lo differenzia nettamente dai titoli citati, e gli regala una personalità unica che poi è stata la vera chiave del suo successo.
L’incipit è quasi di cartoon, con il ladruncolo Philippe, detto il Topo, interpretato da un insolito Matthew Broderick, che evade rocambolescamente da una fortezza medievale - siamo tra il XIII e il XIV secolo - governata da un perfido e crudele Vescovo. Tutto cambia quando ad aiutare Philippe, braccato dagli sgherri vescovili, arriva un cavaliere nero che ha lo sguardo di ghiaccio, ma anche malinconico e tormentato, di Rutger Hauer, e che è armato di lunga spada e un maestoso falco.
Rimasto al fianco di Navarre (così si chiama il cavaliere), il ladruncolo capirà ben presto che per via di un sortilegio al tramontar del sole Navarre si tramuta in lupo, mentre il falco diventa la bellissima Isabeau (Michelle Pfeiffer).
I due, un tempo amanti e innamorati, sono infatti condannati a stare “Sempre insieme, eternamente divisi” da una maledizione lanciata dal Vescovo, geloso di Navarre e pazzo di desiderio per Isabeau. Per Navarre è giunto il momento di una sanguinosa vendetta, ma con l’aiuto di Philippe, di un altrettanto improbabile monaco ubriacone, e della stessa Isabeau (che incarna un femminile capace di moderare l’aggressività maschile di Navarre), potrà cercare di spezzare questa maledizione.
Sulla carta Ladyhawke era una film rischiosissimo, specie per il cast un po’ improbabile. E invece, funziona, e funziona bene. Grazie al suo stare ancorato alle splendide location italiane (abruzzesi in particolare) fotografate da un maestro come Vittorio Storaro, a un Broderick a suo agio nel ruolo di spalla comica, in un ruolo offerto anche a Dustin Hoffman e Sean Penn; a Hauer - subentrato a Kurt Russell a riprese iniziate - che infonde a Navarre lo stesso tormento del Roy Batty del finale di Blade Runner; e ovviaente a Michelle Pfeiffer allo zenith della sua bellezza. Funziona grazie a una trama che punta prima sull’amore e il romanticismo che non sull’avventura e l’azione, e a una regia di solidissimo mestiere hollywoodiano che, a tratti, non si risparmia delle audacie quasi avanguardiste.
Ladyhawke è un film costantemente a cavallo tra due opposti: tra il giorno e la notte (pare girato in un crepuscolo costante, e a tratti non si capisce se è l’alba o il tramonto), tra il realismo e il fantastico, tra l’ovvio e il sorprendente. La grande abilità di Donner è stata di sfruttare al meglio questa collocazione, riuscendo a cogliere in questo modo il meglio tra tutte le opzioni, spesso opposte, a sua disposizione, e facendo di questa terra di nessuno in cui il film e i suoi personaggi si muovono un mondo coinvolgente e affascinante.
E nonostante alcuni dettagli, tra cui la spiazzante colonna sonora tutta sintetizzatori di Alan Parsons, siano legati fin troppo al decennio di appartenenza, il tempo con Ladyhawke è stato indulgente.
Forse perché le storie d’amore non invecchiano mai, né lo fanno le fiabe. Forse per via delle location medievali e naturali che ci sono così familiari. Forse per la bellezza folgorante di Michelle Pfeiffer, cui Donner regala dei primi piani indimenticabili che sono tra le immagini cinematografiche più affascinanti mai regalate all’attrice e al suo pubblico.
Da segnalare la presenza nel cast di Alfred Molina nel ruolo di un losco sicario del Vescovo (per il cui ruolo Donner aveva pensato in origine a Mick Jagger), e il fatto che il doppiaggio italiano abbia francesizzato il nome del borgo dove sorge la fortezza del Vescovo, che in originale è Aquila, in Aguillon.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival