La notte del giudizio per sempre: la recensione del film

27 luglio 2021
3.5 di 5

Chiude con questo bel film politico di Everardo Gout la saga horror più militante e inquietantemente realistica degli ultimi anni. La recensione di Daniela Catelli.

La notte del giudizio per sempre: la recensione del film

Quando nel 2013 Ethan Hawke difendeva la sua famiglia in La notte del giudizio, a colpire - in quella variante distopica del genere home invasion - fu l'idea centrale. In un'America del prossimo futuro, più che mai segnata dalle diseguaglianze sociali, un gruppo di magnati capitalisti, autodefinitisi Nuovi Padri Fondatori, avevano istituito The Purge, lo Sfogo, legittimando per un'intera notte dal tramonto all'alba ogni crimine incluso l'omicidio. Cominciammo allora a conoscere l'angosciante sirena che dava inizio alla notte senza regole, ad ammirare le fantasiose maschere indossate dagli assassini e ad immedesimarci nella sorte dei cittadini costretti a lottare per la propria vita. A quel primo, folgorante esordio del regista e sceneggiatore James De Monaco, ricco di idee se non di budget, sono seguiti altri quattro film sempre più ambiziosi ed espliciti e una serie tv in due stagioni, che ci hanno portato in mezzo alle strade in fiamme, a seguire personaggi sempre diversi, fino a conoscere le origini dello Sfogo. Al centro delle storie donne e uomini di varie etnie e nazionalità, in una saga che si è allontanata sempre più dalla matrice horror per diventare un commento sempre più esplicito e puntuale alla realtà americana.

Il compito di concludere definitivamente la storia con un quinto film viene affidato da Demonaco e Jason Blum al messicano Everardo Gout, produttore e finora regista di episodi di serie tv come Luke Cage, The Terror e Snowpiercer, che compie un bel debutto al cinema suggellando un'epopea iniziata e portata avanti da altri. Bloccato dalla pandemia e fatto uscire in sordina, l'ultimo capitolo è arrivato al cinema a inizio luglio, ma pochi se ne sono accorti. Ed è un peccato. La notte del giudizio per sempre inizia e si conclude con l'attraversamento clandestino di una frontiera, in un viaggio paradossale di andata e ritorno che ribalta le prospettive e chiude il cerchio aperto nel primo film. Stavolta i protagonisti vengono dal Messico in cerca di una vita migliore, ma l'esplosione di una vera e propria guerra civile conseguente allo Sfogo invertirà ironicamente le rotte. Siamo tutti profughi o potremmo diventarlo, ci dicono gli autori del film, tutti vittime potenziali dell'odio cieco, del razzismo, della rabbia, dei sempre più agguerriti gruppi neonazisti e di chi si è stufato del suo ruolo subalterno e vorrenne trovarsi al posto dei ricchi e dei privilegiati.

Come sempre in questi casi le motivazioni si confondono e il conflitto esplode generalizzato perché la violenza è in virus che diventa presto epidemia. Il mondo di The Purge è il nostro appena un po' estremizzato. L'umanità impazzita e gonfia di rabbia e di oddio, che vuole l'America agli americani, come i seguaci di Trump, di fatto dando vita a una pulizia etnica, è molto più vicina a noi di quanto potremmo pensare. La metafora ormai non è più sotterranea ma grida, chiaro e forte. Quello che a molti è apparso come un limite a noi invece sembra un pregio e il giusto finale di una serie che si è spogliata man mano dei panni dell'horror per diventare altro, un raro esempio oggi di pamphlet satirico politico sotto le apparenze del cinema di genere.

Nel gruppo variegato che si forma e deve superare le proprie iniziali diffidenze per tornare a quel confine da cui alcuni di loro sono partiti è riflessa la vecchia America del melting pot, e gli eroi stavolta vengono dal Messico e parlano spagnolo, ma non sono narcos e non sono vittime sacrificali. Ad aiutare i nuovi profughi nella fuga sono i nativi americani: l'America è un paese nato sul genocidio degli abitanti originali, fondato con le armi da fuoco, e forse solo l'unione tra gli esclusi, gli emarginati e le minoranze, i “dannati della terra”, con l'aiuto magari di qualche bianco illuminato, potrà salvarla dall'abisso. Gout allarga gli orizzonti, sfrutta al meglio i vasti paesaggi del Texas, quella frontiera che ha perso da tempo ogni alone mitico. Il regista valorizza gli elementi a sua disposizione al punto che il film sembra più costoso dei 18 milioni di dollari del suo budget. Bravi e convincenti i protagonisti: Tenoch Huerta (Narcos Mexico), Ana de la Reguera, vista di recente in Army of the Dead, e il cowboy Josh Lucas.

Nei suoi momenti migliori La notte del giudizio per sempre ricorda certo cinema di John Carpenter, è un film che prende una posizione forte e chiara, in un caos che rispecchia il mondo impazzito in cui viviamo. Non è cosa da poco per un'opera di genere, di questi tempi, abbracciare la strada della militanza. La scelta di proporci lo specchio oscuro in cui si riflette il mondo in cui viviamo, non piacerà forse a tutti perché troppo disturbante. La notte del giudizio per sempre è una favola morale che ci lascia con una domanda ma senza alcuna risposta sull'onda di un grande cambiamento epocale. L'unica certezza è che nella vita reale non c'è l'eroe che al cinema ammazza tutti i cattivi ma che l'eccessiva disponibilità di armi, le disparità economiche e le ideologie razziste potrebbero un giorno uccidere anche noi.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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