La mia vita da zucchina: recensione del film francese in stop motion

26 ottobre 2016
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Un piccolo gioiello, sceneggiato da Céline Sciamma, un'oasi di calma e sentimento nel cinema isterico di oggi.

La mia vita da zucchina: recensione del film francese in stop motion

Ci sono dei film, non importa che genere di film, né da dove provengano, ma ci sono dei film che quando li guardi ci caschi dentro. Sono quei film che gli bastano pochi secondi, e tu sei lì dentro la storia e non fai più caso a niente altro. Sono quei film che non sono delle buche, anche se ho appena detto che ci caschi dentro, ma che sono più simili a delle bolle: delle bolle in cui entri, che ti avvolgono, e che segnano una barriera sensibile con la vita reale, quella di tutti i giorni. La mia vita da zucchina è uno dei film capaci di questa piccola, grande magia.

Ci sono un sacco di osservazioni piuttosto ovvie che si possono fare su questo piccolo film in stop motion francese diretto da Claude Barras: dalla cura con cui è stato realizzato, che traspare da ogni dettaglio, in uno stile d'animazione così difficile, antimoderno e importante, fino alla capacità di Céline Sciamma, messi da parte gli adolescenti che solitamente racconta nei suoi film da regista, di scrivere un copione in grado di essere semplice e puro come può esserlo il linguaggio di un bambino, ma mai infantile, né censorio rispetto a una realtà che non assomiglia proprio a quella delle fiabe più edulcorate.

La mia vita di zucchina, spogliato dalla tenerezza dei suoi personaggi, è infatti un film durissimo che racconta le avventure di un orfano che ha ucciso involontariamente la madre alcolista, che finisce in un istituto dove gli altri bambini non hanno una storia migliore della sua, tra vittime di abusi sessuali e figli di rapinatori finiti in carcere.  Ma questo mondo viene raccontato con una leggerezza quasi naif, attraverso una rielaborazione infantile che però non riesce a nascondere, nemmeno nei suoi piccoli protagonisti, il dolore soffuso e il perturbante dei dati più crudi.  
È qui che iniziamo a intravedere la definizione della bolla della Mia vita da zucchina, in un tono che non solo è figlio di questa capacità di guardare le cose ad altezza bambino senza che questo significhi "in maniera un po' scema e ingenua", ma anche del ritmo e dei modi, che lo rendono denso, morbido, ovattato, e per questo dinamico e caldissimo.

Il film di Barras vive in equilibrio costante e perfetto tra la semplificazione assoluta della forma (e della vita) e la perenne presenza e consapevolezza del magma del contenuto (che è ancora vita, pulsante), tra il movimento dolce e lineare delle sue traiettorie e la forza impressa alla capacità emotiva.
Nel contesto di un cinema - tanto per ragazzi quanto per adulti - dove la tendenza generale è quella all'isterizzazione, all'accumulazione, alla sovrabbondanza, La mia vita da zucchina è una piccola oasi che permette di fare un bel respiro, rallentare e ascoltare.
Ascoltare, e comprendere. Prima ancora di vedere - pur attraverso la lente colorata e vagamente deformante della bolla - e avere l'ansia di ribattere. Di affermare sé stessi prima di accogliere un racconto e i suoi personaggi.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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