La forma dell'acqua: recensione del film di Guillermo Del Toro presentato in concorso al Festival di Venezia 2017

31 agosto 2017
3.5 di 5
77

Del Toro azzecca gli equilibri tra i generi, gli omaggi al passato e gli sguardi sul presente, e firma una fiaba avventurosa che incita alla tolleranza e restituisce lo stupore infantile al nostro sguardo.

La forma dell'acqua: recensione del film di Guillermo Del Toro presentato in concorso al Festival di Venezia 2017

Non mi è mai piaciuto molto, il cinema di Guillermo del Toro.
Mi piace Hellboy, ma più per il personaggio che per altro, mentre non ho mai sopportato Il labirinto del fauno e ho trovato Pacific Rim noiosissimo.
Il fatto è che ho sempre trovato l'estetica del messicano farlocchissima, i suoi mondi fantastici troppo impostati e artificiali, e la sua narrativa mai veramente magica o potente abbastanza per essere capace di animarli: in questo senso, Crimson Peak è la dimostrazione perfetta del mio teorema.
Per questo, ma non solo per questo, mi è facile dire che The Shape of Water è di gran lunga il suo miglior film.

Certo, la questione estetica rimane un po' aperta, con tutti quei colori ipersaturi, con il barocchismo un po' furbetto dei movimenti di macchina, con quei richiami un po' vezzosi nella ricostruzione della Baltimora del 1962 - tra case scalcinate, vecchi cinema decadenti e strutture scientifico-militari - che hanno portato alla mente di qualcuno Il favoloso mondo di Amélie.
Ma il film di del Toro è assai meno compiaciuto e molto più coerente di quello di Jeunet, soprattutto non ne ha certe gratuità. E, cosa più importante di tutte, riempie quegli spazi, quei colori e quei movimenti con una storia che è favola sì, ma tutt'altro che zuccherosa e patinata.

Anche i suoi detrattori non possono non riconoscere che del Toro ami il cinema, e questo suo amore, questo inseguire i modelli classici e riproporli con una cifra personale e contemporanea questa volta è pienamente riuscito, e va ben oltre l'echeggiare sugli schermi delle tv o dei cinema dei film e delle musiche del passato. Grazie a questo suo amore, The Shape of Water racconta una storia che è in grado di rapirti, di catturarti, e di farti battere palpebre e cuore col ritmo e la passione degli eventi e della storia che stai guardando.
L'archetipo è quello della fiaba, i modelli di riferimento sono ovvi, (Il mostro della laguna nera e La Bella e la Bestia), la passione cinefila è percepibile, ma tutto questo non si traduce mai in esposizione standardizzata e asettica.
Quello di del Toro è un film di emozioni e sentimenti, di amore spirituale e perfino carnale (il sesso non è affatto un rimosso, in questo film, e anzi ne è parte essenziale: non è poco), capace di farsi anche discorso politico senza mai diventare per questo pedante o retorico.

Una ragazza muta e gentile, l'amica e collega che parla per due, una creatura spaventosa e affascinante, vicini gay ossessionati dalla vecchiaia, spie russe e un villain mai caricaturale. Nelle mani di del Toro, e grazie a un cast azzeccatissimo (una Sally Hawkins sorprendente, per me che non la amo, ma anche Michael Shannon, Richard Jenkins, Olivia Spencer e Michael Stuhlbarg), sono i personaggi appassionati e appassionanti di una favola che rivendica la forza dell'amore e il superamento di ogni tipo di razzismo e pregiudizio.
Di un film scritto con cura e precisione, che mescola avventura e romanticismo, commedia e musical, Storia e fantasia, e che ha la forza sfacciata, evocativa e sognante del cinema di un tempo, di quando eravamo bambini e anche prima, restituendo al nostro sguardo la purezza e lo stupore di cui eravamo capaci allora.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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