La Chimera: la recensione del film di Alice Rohrwacher in concorso al Festival di Cannes 2023

26 maggio 2023
3.5 di 5

Alice Rohrwacher racconta la sua storia con passione e umorismo, prendendosi grandi rischi con ammirabile leggerezza, affrontando magari qualche evitabile sbandata, ma senza la paura di essere a volte sgangherata. E questo giova al film. La recensione di La chimera di Federico Gironi.

La Chimera: la recensione del film di Alice Rohrwacher in concorso al Festival di Cannes 2023

Chi sarà mai quel giovanotto inglese alto e magro che assomiglia un po’ al giovane Ayrton Senna, e che va in giro con un abito bianco che, non fosse così sporco e stazzonato, lo farebbe sembrare l’uomo Del Monte, o un emulo del John Travolta della Febbre del sabato sera?
Chi è l’amico che, quando scende dal treno, da qualche parte nelle campagne tra Lazio, Toscana e Umbria, lo aspetta a bordo di una 127 azzurra, e che parla di un certo Spartaco che avrebbe pagato la cauzione? E di che cauzione di parla? Soprattutto: chi è quella bellissima ragazza dai capelli rossi che vediamo assieme all’inglese nelle prime, oniriche immagini di questo film?
 

Non durano molto questi misteri, in La chimera, anche se un certo senso di mistero rimane, lungo tutto lo svolgimento di un film che cammina costantemente, con elegante e miracoloso equilibrio, su una corda tesa tra due opposti. Tra tanti, opposti. Tra il sogno e la realtà, la commedia e il dramma, la voglia di raccontare ma anche quella di lasciare che molti interrogativi, magari secondari, ma non solo, rimangano tali.
Il ragazzo inglese stazzonato e allampanato si chiama Arthur, ed è lo straniero di una strampalata banda di tombaroli che, come canta a un certo punto una sorta di menestrello, ruba non per arricchirsi, come pure alcuni, ma per sfuggire alla povertà. La loro sembra quasi una versione anni Ottanta, e di campagna, della banda di disperati dei Soliti ignoti di Monicelli, più o meno destinata a finire a pasta e ceci come quella lì: altro che sogni di ricchezza.

Il fatto è che Arthur, ex archeologo dalle capacità rabdomantiche per lo scovare tombe etrusche, tombarolo lo è un po’ per passione (per le antichità) e un po’ per disperazione (amorosa). Per colmare, oltre che con l’alcool, dei vuoti nella sua vita. Vuoti di bellezza, vuoti di sentimento, che non bastano la mamma di Beniamina (la bellissima ragazza dai capelli rossi), ricca signora di un fatiscente palazzo di campagna, né forse la sua giovane apprendista cantante brasiliana, che pure gli occhi su Arthur li mette eccome.
Quella di Arthur è una doppia vita, giorno e notte, sogno e veglia, realtà e sogno, suolo e sottosuolo. Vita e morte. È un giovane uomo che si muove sul confine sottile, labile, a volte invisibile. Il suo destino è legato a qualche bottiglia, a dei rami a forma di Y, ai reperti di un passato che non riesce a superare. Il suo destino è legato a un filo rosso, il filo dell’amore per Beniamina, che segue come Arianna, per fare da Orfeo alla sua Euridice.

Alice Rohwacher racconta la sua storia con passione e umorismo, prendendosi grandi rischi con ammirabile leggerezza, affrontando magari qualche evitabile sbandata, ma senza la paura di essere a volte sgangherata: anzi, quasi contenta, perlomeno incurante di esserlo. Le ossessioni del suo cinema ritornano anche qui, anche in La chimera, ma sono più lievi, meno gravi. Più aeree, nonostante il sottosuolo.
La regista sembra prendersi anche un po’ meno sul serio, desiderosa giocare di più con la commedia senza però mai dimenticare dolori e sentimenti. E questa leggerezza diffusa, incarnata nel sorriso e nel disincanto amaro e alcolico di Arthur, fa bene al lei, al film, ai personaggi. Anche quando sbanda, anche quando sbaglia.

La Chimera
La Prima Clip Ufficiale del Film - HD


  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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