L'incredibile vita di Norman: recensione del film con Richard Gere diretto da Joseph Cedar
Un faccendiere altruista, un politico che ama il compromesso, una strana amicizia (forse) che potrebbe cambiare i destini del mondo.
Norman Oppenheimer, con quell’aria trafelata e sofferta, con quel cappotto di cammello e gli auricolari del telefono sempre nelle orecchie a sventola (son protesi, dice Richard Gere), briga e si agita. Parla, telefona, s’intrufola, millanta conoscenze, stringe mani, organizza appuntamenti tra persone che non si conoscono e non conosce nemmeno lui, mente e si spende.
È un faccendiere, sì, è un po’ untuoso, sì, ma ha una tendenza quasi commovente - per lui che di certo non è un vincente - a cercare di favorire gli altri prima ancora che sé stesso.
Cosa faccia non è chiaro, ma poco importa. Cosa pensa di ottenere, assieme ai biglietti da visita e ai numeri di telefono, e agli accessi nelle stanze che contano, è il potere, prima che i soldi. Perché lo insegna Frank Underwood nella fiction di House of Cards (“I soldi sono come ville di lusso che iniziano a cadere a pezzi dopo pochi anni; il potere è la solida costruzione in pietra che dura per secoli”), e lo ribadisce Luigi Bisignani nella realtà, che le conoscenze e il potere fanno più del denaro.
Ma in fondo a Norman non interessa tanto nemmeno quello, il potere in sé, quanto il riconoscimento da parte di coloro che normalmente gli sbattono le porte in faccia o rifiutano la chiamata quando leggono il suo nome sul display del telefono.
Un riconoscimento umano, prima che di qualsiasi altra natura, politica o finanziaria. Norman si spende affinché qualcuno, finalmente, lo riconosca, si accorga di lui.
Questa sua necessità così umana viene raccolta, in questo film di Joseph Cedar, da un altro personaggio che mette l’umanità perlomeno allo stesso livello del potere: un politico israeliano conquistato da come Norman si spenda - e spenda oltre 1100 dollari per un paio di scarpe - per lui, offrendogli il suo cuore e le sue mani, prima del suo portafoglio o del suo biglietto da visita.
Quell’uomo diverrà un primo ministro impegnato in un ambizioso e contrastato processo di pace, cui vorrà arrivare a costo di ogni compromesso. Anche se questo compromesso sarà quello di sacrificare quell’amicizia così particolare con quell’uomo altrettanto particolare, che cammina, parla, gesticola, telefona e si offre di fornirti qualsiasi cosa ti manchi o tu stia cercando. Quell'uomo di cui è amico, forse, che lo usa e che usa a sua volta.
Quel tipo di uomo che non ha paura d’inginocchiarsi davanti a te per infilarti le scarpe che ti ha regalato, come manifestazione servile sì, ma sincera, di disponibilità assoluta.
Che strano, L'incredibile vita di Norman.
Un film che pare raccontare un personaggio un po’ sgradevole e quasi imbarazzante nella sua disperazione, nella sua ostentata piaggeria, e che però dopo un po’ si fa quasi voler del bene, per quella bontà così naif che si porta appresso.
Un film che poi, sottotraccia ma nemmeno troppo, racconta anche della politica, e del potere, e di come sia grazie ai Norman di questo mondo, e alla fede incrollabile nel compromesso (quello stesso compromesso nobile di cui parlava un certo Abraham Lincoln nel film di Steven Spielberg), che si possono vincere la battaglie più incredibili.
I Norman sono i sacrifici necessari: il sacrificio dell’altruismo, e dell’umanità, di cui nessuno conoscerà mai il nome.
Per quanto il mondo sia incasinato e corrotto e egoista, sembra dire Joseph Cedar, con quell’ironia amara e quell’umorismo disincantato e quel senso del destino così ebraico, è sempre e solo grazie ai guizzi dei Norman, quelli buoni, e di quello che incarnano, che riesce ad andare avanti. O almeno speriamo.
Perché fare i propri interessi facendo del bene, in fondo, si può.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival