L’Albero: la recensione del film di Sara Petraglia con Tecla Insolia e Carlotta Gamba

20 marzo 2025
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L'Albero è l’opera prima di Sara Petraglia ed è un romanzo di formazione e insieme una storia di amicizia e amore con due straordinarie protagoniste, che incarnano una giovinezza malinconica. La recensione di Carola Proto.

L’Albero: la recensione del film di Sara Petraglia con Tecla Insolia e Carlotta Gamba

Che sia la metafora delle cose che restano, del bisogno di avere delle radici, dell'anelito alla libertà o del desiderio di stabilità, l'albero che dà il titolo all'opera prima di Sara Petraglia è un’immagine potente, secolare, e in un film che parla di giovinezza rincorsa e a fatica trattenuta e di quella malinconia che per le anime sensibili è una seconda pelle, è comunque una bussola, la lucina nel bosco che in una notte buia e tempestosa ci guida e ci promette il riposo e la tranquillità. La studentessa universitaria Bianca vede l'albero dalla finestra di una casa in affitto e capisce di aver trovato il luogo in cui abitare insieme alla sua amica Angelica. L'Albero è uno di quei grandi pini di Roma di cui cantava Antonello Venditti, e la città che lo contiene è un altro personaggio della storia. Appare ostile, straniante, caotica e totalizzante, ed è un'ottima cornice per un romanzo di formazione che si intreccia con la storia personale della regista, che si interroga sulla felicità e l'infelicità e sul ruolo e il valore della scrittura.

Che Sara Petraglia sia Bianca e che Angelica sia una specie di proiezione di Bianca poco importa, perché quello che il film coglie benissimo è l'irrequietezza di chi, mordendo la vita, già la sente sottrarsi alla sua stretta. A questa angoscia esistenziale la protagonista risponde assaporando quell'amore che spezza il cuore e facendo uso di cocaina, ma qui la droga non è un capriccio edonistico o un rifugio. Piuttosto è una maniera per sentire di più e nello stesso tempo un'esperienza condivisa che avvicina chi ne è parte e che crea un "noi" da custodire gelosamente e preservare da tutto ciò che viene percepito come estraneo. Una simile visione rende L'Albero originale, oltre che capace di cogliere anche le più impercettibili intermittenze di un cuore poco più che ragazzo, un cuore che batte più forte leggendo le poesie di Giacomo Leopardi e che si compiace dell'auto isolamento e di uno spleen un po’ di maniera. Eppure, la tristezza di Bianca è una tristezza vitale, come ha scritto qualcuno, perché è alimentata dalla libertà. Certo, si tratta della libertà che solo chi appartiene a una famiglia benestante può conquistare. E infatti, nella sua apatia e anarchia, Bianca tradisce la sua appartenenza a un milieu borghese in cui i genitori pagano gli studi dei figli e più in generale la loro vita fuori dal nido. Forse lo fanno per avere la coscienza pulita e forse per allontanare il senso di colpa che è nato dal non aver ascoltato abbastanza i loro ragazzi. L'albero fotografa in maniera eccellente questo milieu, nel quale ci si può permettere di procrastinare qualsiasi attività impegnativa quasi in eterno.

Tornando alla cocaina, è chiaro che, essendo Bianca un'aspirante scrittrice, per lei la polverina bianca è anche un paradiso artificiale in cui le parole da mettere su carta vengono in mente con maggiore facilità, e se così è, allora L'Albero diventa anche una riflessione sull'insondabile mistero della creazione artistica, mentre Bianca comincia ad assomigliare, nella nostra mente, a Charles Baudelaire, Arthur Rimbaud e ai vari poeti maledetti, quasi tutti fortemente inclini a fare uso di sostanze stupefacenti. Alcuni di essi finirono per togliersi la vita, e per questo le loro creazioni conservano un che di sepolcrale e affascinante. Bianca, invece, sepolcrale non lo è affatto, e nonostante ci piaccia considerare il film un piccolo trattato sull'inquietudine, i suoi protagonisti sono troppo innamorati della vita per privarsene. La affrontano con uno stato d’animo il più delle volte negativo, ma nessuno di loro viene sopraffatto da un istinto autodistruttivo. Bianca e Angelica, che pure sono due figurine vestite di nero in un mondo comunque colorato, guardano con sfrontatezza al presente, e se la cavano da sole in un mondo senza adulti e quasi senza uomini in cui la famiglia è quella che ti scegli.

È un film che arriva dritto al cuore L'Albero, perché con pochi tratti disegna la complessità umana e la lotta di chi, in mezzo alla tempesta, rimane saldamente attaccato alla nave e la mattina si sveglia con la curiosità di scoprire se finalmente è tornato il sereno. Senza le straordinarie performance di Tecla Insolia e Carlotta Gamba forse il film non sarebbe stato così intenso, ma anche Sara Petraglia ha distrutto la cortina dell'indifferenza di un buon numero di critici cinematografici, ad esempio evitando una morale o un messaggio a tutti i costi e risparmiando a noi spettatori una chiusa punitiva. A questo punto siamo curiosi di scoprire come sarà l'opera seconda della regista, per vedere se seguirà l'istinto oppure la ragione.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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