Killing Season: la recensione del thriller con Robert De Niro e John Travolta
Un confronto a due fra i monti, capanni da caccia, torture reciproche e un passato da chiudere una volta per tutte.
Entroterra più isolato dei Monti Appalachi, tra la Carolina e il Tennessee, uno dei luoghi remoti in cui le montagne e la natura invitano chi vuole cambiare vita perché ha qualcosa da nascondere, qualche ora più giù nella civiltà, o chi vuole perdersi nella vita fra i boschi alla Walden, bibbia per chi vuole sparire nella natura, scritta a metà ‘800 da Henry David Thoreau.
È proprio lì che ci conduce Killing Season, e dove conosciamo un sessantenne dalla barba di qualche giorno, sempre a caccia fra i boschi o le quote più alte, quelle in cui non c’è più vegetazione. Il suo nome è Benjamin Ford (Robert De Niro), e con quel nome così orgogliosamente americano si è congedato da molti anni come colonnello dell'esercito degli Stati Uniti. Si vuole nascondere dai demoni che lo tormentano dalla prima vita, in particolare da montagne non troppo dissimili, quelle bosniache e serbe, in cui è stato fra i pochi soldati americani a combattere sul terreno nelle guerre di Bosnia, passate alla storia per un coinvolgimento soprattutto aereo degli americani e dei suoi alleati, Italia inclusa.
La stagione degli omicidi, si potrebbe tradurre così a spanne il titolo di questo thriller, in cui il precedente titolo, Shnarpel, scheggia, ancora più didascalicamente ci suggerisce come Ford conservi fitte atroci di dolore a causa di un ricordo dentro la sua gamba destra che non si è mai tolto, probabilmente per mantenere in vita il senso di colpa con cui ha lasciato quella guerra, lui che ne ha combattute molte altre. La caccia, la sfida fra preda e predatore, le armi bianche, le carni ferite e sanguinanti, appesantiscono di metafore e significati questo film di Mark Steven Johnson, più abituato a dirigere supereroi, come Daredevil e Ghost Rider.
Il passato torna e vuole regolare i conti in sospeso con Ford, attraverso un collega cacciatore serbo, anch’esso soldato nella stessa guerra, che incontra nei boschi e si porta a casa per fare due chiacchiere; ma solo perché costretto dal tempo inclemente, il buon Ford, burbero com’è. Emil Kovac, è il suo nome, e lo interpreta un John Travolta muscolare e soddisfatto di duettare con cotanto compagno, fra un accento serbo insistito e mille capovolgimenti di fronte nel duello infinito che i due metteranno in scena.
Prima un fiume di alcol, poi di parole, quindi di pugni e di ferite. È questo il motivo principale per cui si potrebbe voler vedere questo thrilleraccio, un B-Movie bolso e morale. Due icone agli antipodi della storia del cinema americano che cercano di vincere prima di tutto una sceneggiatura e dei dialoghi quantomeno improbabili. Non che loro sembrano troppo volenterosi di crederci troppo, probabilmente convinti di meritarsi la paga per lo sforzo ginnico e le zuffe fra i monti. A loro modo hanno ragione; concorderanno gli amanti di De Niro e Travolta o dei thriller belli trash, quelli gonfi di ferite ineferte, cucite, riaperte e via così, che sembrano uscite dagli ultimi Rambo. Se non volete perdervi la barbetta geometrica di Travolta, che stentoreo così recita, “Il mio paese è bellissimo, ma c’è un fitto strato di sangue su ogni cosa”, allora Killing Season è il film che fa per voi. Per gli appassionati della serie This is Us fa anche una fugace apparizione Milo Ventimiglia.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito