It's What's Inside: la recensione del film in streaming su Netflix
L'esordiente Greg Jardin gioca col tema dello scambio di corpi con toni che vanno dalla commedia all'horror psicologico, raccontando di un gruppo di Millennials alle prese con un gioco che assume risvolti inaspettati. La recensione di It's What's Inside di Federico Gironi.
It’s What’s Inside, ovvero il cinema dello scambio dei corpi secondo i Millennials.
Giovani Millennials sono i protagonisti del film, un gruppo di amici che non si vedono da anni che, in una sorta di variazione sul tema del Grande Freddo, si ritrovano in occasione non di un funerale, ma del matrimonio di uno di loro. Una sorta di addio al celibato in un grande villa isolata, tipo quelle dei romanzi gialli di una volta, dove non mancano ovviamente né alcool e droghe. Il trip migliore di tutti arriva però grazie a uno strano macchinario retrofuturistico portato lì da quello che era il più genialoide e strampalato del gruppo, tale Forbes: un macchinario che - ah, quale ironia - si chiama FL-1P, e che permette appunto ai ragazzi di entrare l’uno nel corpo dell’altro. O dell’altra.
Ed ecco che, se al primo giro iniziano a riemergere rimossi, rimpianti, desideri nascosti e rancori - il Grande Freddo, dicevamo - che, tutto sommato, non fanno poi troppi danni, al secondo le cose si fanno complicate. Perché siamo pur sempre nella grande villa isolata degli whodunit, e quindi è un po’ inevitabile che ci scappi il morto.
Anche Greg Jardin, che il film l’ha scritto e diretto, è un Millennial. Nella parte alta dello spettro, ma insomma: siamo lì. E quei ragazzi che racconta, e il mondo in cui sono e siamo calati, lo conosce molto bene. Instagram è l’esplicita piattaforma di riferimento, i riferimenti a questioni di etnia e di genere ci sono, sebbene non calcate, l’accento è posto chiaramente sulla cosiddetta linea d’ombra. Non solo i protagonisti del film si ritrovano perché uno di loro sta per sposarsi - e chissà che qualcuno non se ne dispiaccia, o che il futuro sposo non abbia qualche dubbio - ma prima di tutto questo il film si apre su una specie di prologo che racconta le frizioni di coppia di altri due protagonisti, Cyrus (detto the Virus, in omaggio al Malkovich di Con Air, o almeno così mi auguro) e Shelby, che invece vedono proprio le nozze come uno degli elementi di attrito tra loro e che hanno perfino problemi di desiderio.
Lo stile di Jardin è chiaramente e dichiaratamente furbetto, ma non disturba troppo; anzi magari diverte un po’, nel suo tentativo di scimmiottare riferimenti come Noè o Refn declinandoli in versione pop-discount. E c’è da riconoscere che la trovata della macchina che permette un collettivo scambio di corpi, reversibile e replicabile in nuove combinazioni, è decisamente azzeccata. Poi certo, i vari personaggi sono un po’ caricature di un modello, alla stregua delle carte del Cluedo, e tutto è costruito a tavolino per fare del film un piccolo cult giovanile (spoiler: lo diventerà), ma la cosa non è nemmeno gravissima.
I problemi nascono quando si arriva a dover un po’ tirare le fila del discorso, e It’s What’s Inside dovrebbe dimostrare di avere delle cose un po’ più di spessore da dire rispetto a quanto fatto da film analoghi ma decisamente più ludici (ma non per questo meno intelligenti); il fatto è che queste cose di spessore It’s What’s Inside non le trova da dire, rivelandosi gravato dagli stessi difetti che con tutta evidenza imputa ai suoi protagonisti: superficialità, soprattutto, ma pure una buona dose di immaturità.
Come stanno lì a testimoniare prologo e finale, tutto quello che sta a cuore a It’s What’s Inside non sono i discorsi sulla psiche, l’identità o sul mettersi letteralmente nei panni dell’altro, né questioni che riguardano l’esperienza di un’alterità radicale rispetto a ciò che si è. Tutto si esaurisce in questioni di superficie, di apparenza: perché non è “quello che c’è dentro” che conta. Né per i protagonisti, né per il loro autore.
E allora la storia del film di Jardin è solo quella di una coppia che non funziona, perché lui ha una fissa per un’altra. E la storia di un lui che, in maniera prevedibile, magari anche giusta, ma sicuramente un po’ moralista, viene punito per i suoi errori. Come altri prima di lui. Come anche ci dice l’apparizione nel finale di un personaggio a sorpresa che vera sorpresa - per chi è almeno un po’ cultore del giallo, e ha capito che il tema è punire i maschi cattivi - non è affatto.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival