Io, robot - la recensione del film con Will Smith ispirato ai lavori di Isaac Asimov
Alex Proyas diresse questo Io, robot con Will Smith, un film sci-fi che si svuota rapidamente, tramutandosi in un action movie con poco equilibrio.
Nel 2035, il detective Del Spooner (Will Smith) indaga sull'apparente suicidio di Alfred Lanning (James Cromwell), padre dell'intelligenza artificiale alla US Robotics, sul punto di lanciare la nuova linea di robot tuttofare NS-5. Del scopre che uno di quest'ultimi ha una sensibilità strana e indecifrabile, fuori dal comune, più vicina all'indeterminatezza umana... e si fa chiamare Sonny. Che sia legato all'incidente? Secondo la dottoressa Susan Calvin (Bridget Moynahan), risponde alle tre leggi della robotica, eppure...
Alla sua uscita Io, robot, diretto da un Alex Proyas sempre più inserito nella logica del blockbuster hollywoodiano, destò parecchi malumori: a partire dal titolo, passando per le evocate tre leggi della robotica, la dipendenza del film dal lavoro di Isaac Asimov, seminale per la fantascienza, era sbandierata e attirava l'attenzione e le inevitabili critiche degli appassionati. Avendo avuto un'esperienza diretta di Asimov con il Ciclo delle Fondazioni, ci rimettiamo a chi ha notato l'effettivo uso (e rilettura) dei personaggi apparsi nel Ciclo dei Robot, come Susan Calvin (qui ringiovanita rispetto alla controparte letteraria). Ciò che senza dubbio siamo in grado di rilevare è che Io, robot pare un progetto che, col crescere del suo budget, si è mosso verso un compromesso tra la dimensione più filosofica del materiale originale e le esigenze spettacolari più di genere.
Il problema di Io, robot sta proprio nella gestione incerta di questo compromesso: di sicuro i principi di Asimov sulle prime risultano affascinanti, così come sono di livello elevatissimo il design degli ambienti e dei robot, frutto di una sinergia tra il team dello scenografo Patrick Tatopoulos, la Weta e la Digital Domain. Questi sono elementi che non invecchiano. La produzione sembra però chiaramente preoccupata, anzi terrorizzata, dal rendere troppo sofisticata e problematica la narrazione, scaricando davvero troppo sulle spalle del divo Will Smith, che fagocita gli altri aspetti. Humor e caratterizzazione di Del sembrano arrivare dritti da Bad Boys (il cui secondo atto era uscito appena l'anno prima, nel 2003), mentre svariate scene enfatizzano la dimensione "extracool" del protagonista, contemplato persino nudo sotto la doccia e accarezzato con suggerito apprezzamento sessuale persino dalla teoricamente distaccata dottoressa Susan. La mano pesante si avverte pure nel product placement, in particolare per una nota marca di scarpe, sulle quali si attira l'attenzione in un "furbetto" dialogo ad hoc.
Il crescendo del lungometraggio cerca sempre più disperatamente di distinguere buoni e cattivi, anche quando per dovere verso Asimov azzarda un'ambiguità di Sonny, a conti fatti però - se ci si pensa - un buono al 100%. La tenuta narrativa scricchiola nel climax, quando nella messa in scena la prima preoccupazione sembra spingere Smith in evoluzioni in slow-motion improbabili, con movimenti di macchina deliranti (come quelli rotatori nella scena della torre), che paiono realizzati in quel modo solo perché la tecnologia li permetteva. Nell'economia del copione di Jeff Vintar e Akiva Goldsman poi davvero non si riesce, con tutta la buona volontà, a capire a cosa serva il personaggio di Shia LaBeouf.
Non ci sembra in definitiva che i problemi di Io, robot siano tanto nel tradimento di Asimov, che peraltro nei titoli viene indicato come "ispirazione", senza azzardare adattamenti espliciti. I problemi sono più che altro in una mancanza di fiducia della Fox nelle potenzialità del tema, annacquate in uno spettacolo, ci si passi l'espressione poco tecnica, alquanto tamarro.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"