I predatori dell'arca perduta, recensione dell'esordio di Indiana Jones
Dopo Guerre Stellari, George Lucas continuava ad omaggiare i serial, ma per I predatori dell'arca perduta ebbe un complice d'eccezione: Steven Spielberg.
1936. Professore serio ed elegante al college, archeologo avventuriero sporco e spregiudicato in posti sperduti, Indiana Jones (Harrison Ford) è una risorsa. Quando il Governo degli Stati Uniti sa che Hitler e i Nazisti sono sulle tracce dell'Arca dell'Alleanza, non possono che rivolgersi a lui per risolvere la situazione. Indy avrà bisogno dell'aiuto dell'amico egiziano Sallah (John Rhys-Davies) e della vecchia fiamma Marion Ravenwood (Karen Allen) per battere sul tempo il nemico.
La nascita del personaggio di Indiana Jones, inizio di una delle saghe più amate degli anni Ottanta, rappresenta il secondo atto di un processo di cui George Lucas e Steven Spielberg erano stati iniziatori. Con Lo squalo (1975) e Guerre Stellari (1977) avevano riavvicinato la grandeur del cinema di genere dei grandi studi hollywoodiani al cinema d'autore, quando intrattenimento e stile sembravano aver preso due strade separate, nell'impegno politico degli anni Settanta. In particolare, Star Wars aveva ripreso in mano la struttura dei serial cinematografici alla Flash Gordon, ed è da questa forma narrativa e commerciale che Lucas, coautore del soggetto con Philip Kaufman, aveva colto l'ispirazione anche per Indiana Jones. I serial, per chi non lo sapesse, nacquero negli anni Dieci e proseguirono fino a poco oltre l'affermarsi della televisione, nei primi anni Cinquanta: si possono descrivere come "serie tv al cinema", "stagioni" di storie articolate in "episodi" di mezz'ora, però proiettati in sala. Oggi sembra una stranezza, ma ricordate che fino all'avvento della tv americana alla fine degli anni Quaranta, la programmazione cinematografica era organizzata come un palinsesto: comiche, lungometraggi, cinegiornali, cartoni, appunto serial.
Per celebrare efficacemente il mito del prof. Jones bisogna provare a sfatarlo, come esercizio preliminare: oggi siamo portati a guardare con ironia i prodotti malati di citazionismo, ma in effetti I predatori dell'arca perduta, così come Guerre Stellari, è un prodotto citazionista concepito da impenitenti nerdacci ante-litteram. Quasi nessun elemento della storia o dei personaggi è originale preso in sè, ma è la combinazione divertita di questi elementi a sancire quell'epoca della rimasticatura "post-moderna" di cui Quentin Tarantino (non a caso fan di Indiana Jones) è un alfiere più attuale. Per rimanere nell'ambito dei serial, Raiders of Ghost City (1946) della Universal raccontava per esempio dell'avventuriero Idaho Jones (!!!). Passando ai lunghi d'avventura, il look di Charlton Heston in Il segreto degli Incas (1954) ha un che di familiare, per usare un eufemismo. Nè è un caso che i nemici qui siano i Nazisti, dato che l'epoca d'oro del serial coincise proprio con la II Guerra Mondiale.
L'originalità dell'approccio di Lucas non è negli ingredienti, ma nell'amalgama della ricetta, basata sulla celebrazione estetica della professionalità cinematografica e sul desiderio adolescenziale per un'ingenuità che il mondo e gli Stati Uniti, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, avevano dovuto per forza di cose dimenticare. Un sogno riveduto e corretto, con un piede nell'audiovisivo dei padri e un altro in un presente da inventare. George Lucas per I predatori dell'arca perduta intercetta l'interesse del talentuoso amico Steven Spielberg alla regia, in grado di liberare il dinamismo di ripresa e montaggio che Guerre stellari, pur con i suo meriti, non aveva. Michael Kahn, montatore storico di Spielberg, fu chiamato dai Cahiers du Cinema a spiegare la sua tecnica di montaggio, perché il cinema d'avventura non aveva mai tessuto una sinfonia come la scena dell'inseguimento del furgone, nove minuti di sinergia totale tra tutti i reparti della settima arte: fotografia, regia, scenografia, costumi, attori, montaggio, musiche leggendarie di John Williams (andate oltre la Raiders March, la colonna sonora intera è indimenticabile). E i cascatori. Nella stessa sequenza due pericolose esibizioni degli stuntmen Vic Armstrong e Terry Leonard sono entrate nella storia: rispettivamente il salto dal cavallo al camion in movimento, e il trascinamento di Indy sotto il camion stesso. Non è aneddotica: sono i momenti in cui l'anima vera dei Predatori si svela. Il divertimento per un racconto è allo stesso tempo divertimento per un'esibizione in un parco a tema, quasi circense, virtuosistica. Si passeggia per una contagiosa celebrazione storica del cinema, come macchina spettacolare popolare che fa sorridere e deve meravigliare, una grande missione.
Abbiamo provato a costruire questo testo in chiave storica, perché tanto si potrebbe dire di Indiana Jones mantenendosi autoreferenziali, concentrandosi sul film. Inestimabile fu la fortuna di ottenere Harrison Ford al posto di Tom Selleck, bloccato da un contratto capestro per Magnum P.I.: con la sua recitazione naturalistica mai sopra le righe nemmeno quando il film lo è, Ford è l'elemento plausibile che àncora lo spettatore tra le onde impetuose dei deliri fantastici. La celeberrima scena del cattivo armato di spada, freddato con noia da un colpo di pistola, è farina di Harrison: sarà pure stata dovuta a un attacco di diarrea, come narra la leggenda, ma è assai coerente con quel pragmatismo ironico e inimitabile dell'attore. Al di là poi degli adatti caratteristi, incluso Paul Freeman come acerrimo rivale Belloq, ci risulta irresistibile Karen Allen: secoli prima del movimento #metoo, era una donna tosta che reggeva litri di alcol, damigella in pericolo che però prova a salvarsi da sola, pronta nel caso anche ad aiutare un uomo inaffidabile ma in fondo sexy. La serie non avrebbe mai più incrociato un'altra Marion, purtroppo. L'oggetto della quest infine, orchestrato bene nel copione di Lawrence Kasdan, dona all'impresa una legittimità più seria del tono generale del film, solleticando radici culturali che tutti avvertono: da ebreo osservante, Spielberg non scherza quando liquefa i Nazisti che osano aprire l'Arca con un rituale ebraico.
Se la nostra valutazione in fredde stellette non raggiunge il massimo, è solo perché, senza originalità, riteniamo che gli elementi costitutivi e l'identità di questo affascinante franchise abbiano raggiunto l'apice con Indiana Jones e l'ultima crociata. Questo se proprio vogliamo umiliare Indy in una classifica.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"