In solitario - la recensione del film

09 novembre 2013
4.5 di 5
9

La sezione Alice nella Città del Festival di Roma 2013 ci regala una grande storia in cui partecipare e vincere non sono le sole cose che possono accadere durante una regata intorno al mondo

In solitario - la recensione del film

Il giro del mondo in solitaria in barca a vela è una di quelle esperienze travolgenti fisicamente e psicologicamente che non possono essere comprese da chi non le vive. Solcare il mare per tre mesi tagliando l’equatore e sfiorando i ghiacci dell’Antartide, domare le onde con un’imbarcazione sfruttando venti e correnti a proprio vantaggio non è un lavoro, è una vocazione. Partendo dalla consapevolezza di non poter restituire tutto questo al pubblico, il regista Christophe Offenstein realizza un film paradossalmente di grande asciuttezza nonostante l’oceano sia uno dei silenti protagonisti.

Anche il protagonista François Cluzet si risparmia a livello espressivo per concedere tutto se stesso fisicamente. Proprio come accade a chi partecipa a una regata, per di più circumnavigando il globo, il riposo è ridotto al minimo per una sfida che richiede ogni risorsa umanamente disponibile. Nonostante l’inizio lasci presagire questo, un uomo solo contro la natura, gli avversari e se stesso, il film vira verso un rapporto a due. Dopo pochi giorni di navigazione l’uomo scopre di avere un clandestino di sedici anni a bordo, intrufolatosi di nascosto durante una sosta vicino alla riva delle Canarie. Lo skipper deve trovare un modo per sbarcarlo, pena l’eliminazione dalla regata.

In solitario diventa una strana amicizia tra un uomo e un ragazzo che va consolidandosi insieme all’incredibile recupero di posizioni sulle barche avversarie. Con grande intelligenza Offenstein, e quasi controcorrente, lascia eretto il muro tra i personaggi e il pubblico, affidandosi a una storia compatta nella sua integralità. Il regista riporta dignità all’unica funzione dello spettatore, che è quella di assistere, e lo fa scorciando il film di qualunque altro fronzolo che l’avrebbe reso ordinario, come la ricerca di immagini artificialmente suggestive o di espedienti narrativi per suscitare emozioni. Eppure l’asciuttezza del racconto è capace di lasciare spazio a sentimenti e considerazioni personali che convergono in un appagamento finale con estrema naturalezza.




  • Giornalista cinematografico
  • Copywriter e autore di format TV/Web
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