Il giovane favoloso - la recensione del film su Giacomo Leopardi di Mario Martone

01 settembre 2014
2.5 di 5
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Ambizioso e ambiguo ritratto di un personaggio complesso.

Il giovane favoloso - la recensione del film su Giacomo Leopardi di Mario Martone

Dice Elio Germano che Giacomo Leopardi è "tutto e il contrario di tutto." Un'immagine del poeta italiano che di sicuro è condivisa da Mario Martone , che ne Il giovane favoloso ha tentato di ricostruire questa complessità e queste sfumature in un film che, anche lui, finisce con l'essere tutto e il contrario di tutto.

Di fronte a operazioni come quella di Martone, c'è sempre il rischio di assistere a ritratti bignameschi, a compendi di una vita e di un'opera a cui le scolaresche verranno portate a frotte, a compendi antologici che di poco deviano da quelli dei libri di testo. Questo rischio, Il giovane favoloso non lo evita, perlomeno non del tutto, con la sua linearità temporale e narrativa e con la sua attentissima e filologica riproposizione di testi, lettere, eventi. Però non ci cade affatto dentro con tutte le scarpe, ansioso di raccontare non solo il poeta e l'intellettuale ma anche l'uomo, l'origine e l'espressione non solo letterarie del suo tormento e del suo pessimismo.

Per farlo, Martone alterna numerosi registri, alcuni riusciti, altri meno, realizzando un'opera dove alla fissità di rigidi e freddi momenti di pura derivazione teatrale si alternano fasi di ricerca cinematografica che si fanno progressivamente più barocche in alcuni punti (tutta la parte napoletana) o astratte e quasi sperimentali. Sono proprio queste ultime, spesso supportate dalla bella e distonica colonna sonora elettronica di Apparat, quelle che hanno convito di più, mentre meno molto riuscite sono le prime.

Il giovane favoloso procede per onde, alternando alti e bassi, mutevole, come fosse alla costante ricerca della giusta chiave per rendere la poesia e il pensiero leopardiano. Sarebbe stato meglio, forse, se Martone avesse osato più di quanto ha fatto, se avesse scelto di rinunciare ai momenti didascalici ed esplicativi, alle battute che affrescano il panorama intellettuale ottocentesco. Se, soprattutto, avesse compreso che, al cinema, far declamare al suo protagonista Elio Germano "L'infinito" o "La ginestra", ha un potere assai minore della loro suggestione tramite le immagini. Non che non ci provi, Martone, ma per poi tornare sui suoi passi, e accompagnare alla suggestione visiva, evocativa e astratta, la parola pedante, superflua, pesante.

Anche Elio Germano, interprete di questo Giacomo Leopardi cinematografico, progressivamente sempre più ingobbito e più sulfureo, ripete lo stesso altalenante andamento del film: non solo per gli scarti umorali cui il suo personaggio è costretto, ma per la sua costante necessità di mettere in discussione tutto ciò che era calato dall'altro o era diventato luogo comune senza mai sapere realmente come. Chiamato a un compito arduo e, a suo modo, estremo, Germano ce la mette tutta per mantenersi in equilibrio, ma sotto il peso della responsabilità scivola a tratti nell'eccesso, nella caricatura, pur trovando in altri momenti toni e modi utili a scavare sotto la pelle di Leopardi.

Il giovane favoloso appare allora come un'opera acerba e ambiziosa al tempo stesso, capace a tratti di cogliere e intuire e riportare la complessa e attuale profondità leopardiana, ma che in troppe occasioni sembra faticare a trovare le chiavi giuste un racconto che si fa allora scolastico e vagamente imbalsamato.





  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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