Il gatto con gli stivali 2, la recensione di un sequel più profondo e scatenato
La DreamWorks Animation si butta a corpo morto (quasi letteralmente) nel sequel Il gatto con gli stivali 2: uno spettacolo divertito. La nostra recensione.
Il Gatto con gli Stivali realizza di aver già consumato otto delle sue nove vite, tanto che la Morte lo insegue, letteralmente, con le sembianze di un enorme lupo minaccioso. C'è solo un'alternativa al crepuscolare pensionamento: una mappa per la Stella dei Desideri, alla quale potrà richiedere di ricaricare le vite. Parte alla sua ricerca con una ritrovata Kitty e un nuovo amico, l'ottimista cagnolino Perrito. Unico problema: sulle sue tracce ci sono anche un mostruoso Big Jack Horner (ex-Little), Riccioli d'oro e i suoi tre Orsi.
Ammettiamolo: nonostante una spropositata nomination all'Oscar dieci anni or sono, il primo Gatto con gli stivali (2011), spin-off degli Shrek, non era stato di certo il più memorabile dei lungometraggi della DreamWorks Animation: pur divertente, era una blanda origin story del buffo personaggio felino spagnoleggiante. Nel 2022 lo ritroviamo in Il gatto con gli stivali 2: L'ultimo desiderio e qualcosa è cambiato: non solo per lui, ma anche per la DreamWorks stessa. Da qualche tempo a questa parte infatti, dopo le difficoltà economiche pesanti di qualche anno fa, l'azienda ha ritrovato una sua dimensione più coreografica che di contenuti, funzionali e condivisibili dalla maggior parte del pubblico. Mentre Disney e Pixar mettono in scena e riflettono la società e i temi attuali, la DreamWorks si accontenta di valori eterni e universali, mentre manda a briglia sciolta i propri animatori: era successo in Baby Boss 2 e Troppo cattivi, accade di nuovo nel Gatto con gli stivali 2, un'altra esperienza a rotta di collo.
Sia chiaro che non sarebbe difficile scoprire il gioco del regista Joel Crawford (I Croods 2) e del suo vice Januel Mercado: in una sarabanda comica che si concede pochi attimi di tregua, solo i più freddi si lamenteranno delle tematiche telefonate. Il punto è che avrebbe in effetti poco senso, perché c'è una forte omogeneità tra la messa in scena sempre creativa e l'essenzialità della sostanza. Se la storiella sembra debole, ogni suo passaggio è risolto in chiave visiva e meno banale di come si possa immaginare: già dal primo incontro con la Morte-Lupo, dove Ingmar Bergman incontra Tex Avery, s'intuisce che accanto alle gag c'è una forte volontà di esplorare le potenzialità grottesche, surreali e simboliche dell'animazione.
Quando poi ci si trova davanti al villain della situazione, mostruoso a partire dalle sproporzionate fattezze, l'intuizione diventa certezza: Il gatto con gli stivali 2 non fa prigionieri quando si tratta di giocare con una messa in scena esagerata e stimolante, si tratti di allestimento beffardo delle inquadrature, design di personaggi e ambienti, colori, luci. Non escludiamo che, per i meno avvezzi al cartoon, possa risultare sulla lunga durata un po' indigesto, però è apprezzabile almeno sul piano tecnico, pur non essendo all'altezza dell'esperimento ibrido del citato Troppo cattivi o della semiconcorrenza di Spider-Man: Un nuovo universo (e lì il regista Persichetti è un ex-DreamWorks che aveva avviato proprio questo sequel, guardacaso). Anche qui si ammicca all'animazione 2D: si gioca la carta dei movimenti a scatti per le sequenze d'azione, ed è curioso il ricorso a texture dipinte a mano, pur disomogeneo.
Il gatto con gli stivali 2: L'ultimo desiderio non sarà ricordato come una delle fatiche più eleganti della DreamWorks Animation, ma ne testimonia molto bene la crescita tecnica e artistica negli ultimi anni, visto che il film è sotto ogni aspetto migliore del predecessore, e ha una felice conseguenza: rende il suo protagonista più sfaccettato, meno caricaturale e leggermente più problematico. Negli Shrek il Gatto era una spalla comica, appena più approfondita ma sempre nel giusto durante il primo film, però qui il suo conflitto con la vecchiaia e la consapevolezza di non essere eterno... funzionano e lo rendono più simpatico, al di là delle gag che l'hanno sempre accompagnato. E tutto sommato la sua rivendicazione di poter contare ancora, nella consapevolezza degli anni trascorsi, è un'eco dello stesso orgoglio che la DreamWorks Animation sta sfoderando negli ultimi tempi: segue un approccio più goliardico dei concorrenti, meno responsabilizzato e ambizioso, ma ben riconoscibile.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"