Il cattivo tenente: ultima chiamata New Orleans, recensione del film di Werner Herzog

07 settembre 2009

Protagonista del concorso veneziano nella giornata del 4 settembre è il non remake di Werner Herzog de Il cattivo tenente di Abel Ferrara, che forse può essere considerato uno spunto di partenza ma poco di più. Quello di Herzog è un film bizzarro e imprevedibile, che porta addosso il marchio del suo regista nel bene come nel male.

Il cattivo tenente: ultima chiamata New Orleans, recensione del film di Werner Herzog

Il cattivo tenente: ultima chiamata New Orleans, recensione del film di Werner Herzog

S’irrigidisce, Werner Herzog, se si definisce il suo film un remake di quello di Abel Ferrara. Per il regista tedesco si tratta di tutto un altro film, completamente slegato e indipendente, che parla d’altro. E tutti i torti non gli si possono dare, considerato il fatto che l’unico reale punto di contatto tra i due film è il fatto di avere come protagonista un poliziotto drogato e spesso e volentieri immorale, appassionato di scommesse.

Il resto, è tutto diverso. Dal setting alla trama noir, ma principalmente il senso, l’origine, la direzione e gli effetti della depravazione del cattivo tenente del titolo. Lontanissimo dagli ardori religiosi di Ferrara, Herzog fa del suo protagonista un’indefinibile scheggia impazzita nata da una crisi che è sociale e collettiva prima ancora che intima e personale. Un personaggio che (si) fa Male perché deve fare del Bene, e che fa bene facendo del male, giano bifronte dell’etica e della morale che proprio per questo non ha bisogno di alcuna redenzione, ma che indugia e persiste nel suo ondivago e indecifrabile cammino simboleggiando la natura ambigua uomo e del suo agire. Quello di Cage è in questo senso un personaggio più che coerente con quelli ritratti dal regista tedesco in tanti anni di carriera, del quale sono evidenti i lati più istintuali, primitivi e animaleschi della natura umana (e non a caso Herzog ha disseminato il suo film di figure animali chiaramente simboliche) selvaggiamente mediati con una coscienza razionale che non esclude la follia. O, come in questo caso, lo stato d’alterazione.

Questo quadro tematico, che ha diretta viene raccontato da Herzog con uno stile che invece appare per lui decisamente insolito, e che dimostra tutta la sua voglia di utilizzare il cinema nella maniera più ampia e dinamica possibile. Da questo punto di vista Bad Lieutenant è un film che colpisce per una superficie formale che, se nella parte iniziale sembra una versione tirata via di tanti telefilm polizieschi dei primi anni Ottanta, con il trascorrere dei minuti si fa sempre più imprevedibile, slabbrata, sgangherata, felicemente grottesca e delirante, a marcare non il progressivo distacco dalla realtà del suo protagonista (poiché è in fondo solo apparente) ma il travalicare delle barriere convenzionali e quasi fisiche per addentrarsi in territori più accidentati, affascinanti e ai limiti della riflessione metafisica.

E la recitazione (notoriamente) sopra le righe e ipertrofica di Cage è perfettamente funzionale al progetto dell’intelligente e smaliziato regista tedesco. Smorfie e strabuzzamenti d’occhio compresi.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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