Il buio nell'anima: recensione del film di vendetta di Neil Jordan con Jodie Foster
Una New York cupa e violenta in cui una donna decide di farsi giustizia da sola del suo lutto personale e dei mali della città.
Si potrebbe quasi guardare a occhi chiusi, Il buio nell’anima, tanto sono cruciali i suoni, quelli che registra la protagonista, Erica (Jodie Foster), e utilizza per confezionare un programma radiofonico di riflessioni crepuscolare sulla metropoli, quelli di una New York cupa quasi come fossimo negli anni ’80, prima della pulizia del crimine a cura del sindaco Giuliani, che ridusse al minimo la criminalità e gli omicidi. i continui lavori in corso ci trasmettono un senso di angoscia e instabilità, non il dinamismo di una New York gravemente malata.
Eppure siamo nel 2007, con ancora evidenti le ferite dell’11 settembre, mentre l’Iraq è il nuovo nemico in cui proiettare all’estero la violenza che serpeggia nelle notti e nei vicoli della sua città più simbolica. Le luci di Times Square sono ben lontane, qui Neil Jordan ci conduce in un viaggio notturno all’inferno. Eppure per Erica il paradiso sembrava alle porte, con un lavoro che le dava soddisfazione e la portava in giro per la sua città e un amore totalizzante per il suo fidanzato, il Naveen Andrews all’apice della popolarità in quegli anni per il ruolo di Sayid nella serie culto Lost.
Una notte, durante una passeggiata romantica per Central Park, i due vengono aggrediti da due criminali da strapazzo, che uccidono lui e lasciano lei duramente segnata. Qualcosa si rompe per sempre in Erica, com'è ovvio, e il suo tentativo di elaborazione del lutto non inizia neanche, disillusa presto dall'impossibilità della polizia e delle istituzioni di fare giustizia, finendo per acquistare illegalmente una pistola. Erica si risveglia un’altra persona, la tollerante progressista che era sempre stata, con amici e amore attorno a lei, si scopre un animale notturno, senza speranza, per cui la luce diventa insopportabile ricordo di un passato che non tornerà più. “È orribile avere paura di un luogo amato”, riflette Erica. È proprio la paura il nuovo ospite delle sue notti insonni e della sua insaziabile sete di vendetta, pronta a scatenarsi contro chiunque esibisca arroganza criminale e violenza nei confronti di cittadini più o meno indifesi. Il termine americano per definirla è “Vigilante”, una vendicatrice solitaria che sembra uscita da un fumetto di supereroi, tanto che così viene subito chiamata dai tabloid che rilanciano le sue imprese in titoli a tutta pagina.
Il monopolio della violenza, in ogni democrazia detenuto dallo stato, dalla polizia, viene rotto da questa tormentata anima errante, non casualmente pronta a cementare una paradossale amicizia proprio con il detective incaricato delle indagini sull’omicidio del suo compagno, ma anche sulle violenze del vigilante. Si può imporre la moralità usando gli strumenti di chi la rinnega? Secondo Neil Jordan sì, e stupisce non poco, visto che l’autore irlandese si era fatto apprezzare per affreschi progressisti come La moglie del soldato o Micheal Collins. Un passo falso da cui negli anni successivi non sembra essersi rialzato, Il buio nell’anima, a conferma di un certo esaurimento della vena creativa del regista. Jodie Foster rimette in gioco la sua immagine di moralità partecipando a un film eticamente discutibile, un inno alla violenza privata che sembra rinnegare ogni principio della cultura politica e sociale più nobile degli Stati Uniti, rimasticando teorie libertarie variamente anti democratiche, oltre alla lunga tradizione delle milizie locali che rivendicano autonomia e schifano ogni istituzione rappresentativa.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito