Il bambino nascosto: recensione del film di Roberto Andò che ha chiuso il Festival di Venezia 2021
Un professore che vive solitario in un quartiere del centro di Napoli, e un bambino in fuga che si intrufola in casa sua. Due mondi all'interno di un palazzo del centro popolare di Napoli ne Il bambino nascosto di Roberto Andò, film di chiusura del Festival di Venezia 2021.
Napoli è sfacciata, ma si nasconde a chi si limita a uno sguardo superficiale. Napoli è più che un personaggio, è il terzo incomodo nella ballata a due al centro del nuovo giallo à la Roberto Andò, Il bambino nascosto. Tratto da un suo romanzo, mette in scesa il confronto/conflitto fra due mondi. Quello di un professore solitario, Silvio Orlando, e del figlio di una coppia di suoi vicini, il bambino nascosto Ciro, interpretato dall’esordiente Giuseppe Pirozzi.
La magia unica del centro di Napoli, capace ancora di mescolare classi sociali, stili di vita, all’interno di palazzi dal fascino un po’ po’ decadente. Il professore insegna al Conservatorio, dove si reca a piedi. La sua vita è abitudinaria e molto regolata. Raramente esce di casa, al massimo si affaccia dalla finestra, da dove osserva un mondo brulicante ai suoi piedi, con una particolare agitazione che monta. Qualche litigio nell’ombra, fra vicini che appena conosce. Un giorno apre la porta per far entrare un corriere, e bastano pochi istanti in cui si allontana dall’uscio per far intrufolare nella sua quotidianità un ragazzino di 10 anni, che sembra avere qualcosa a che fare con il trambusto notato in quei giorni. Ci metterà qualche tempo ad accorgersi dell’intruso, nascosto come lui, che da molti anni ha rinunciato a vivere in pieno la sua città, e la sua condizione alto borghese, vivendo con grande timidezza sociale anche la sua vita sentimentale.
Ciro non parla, e il professore intuisce che questo bambino, figlio di un piccolo sgherro camorrista del palazzo, è in pericolo. Una comunicazione complessa, inizialmente conflittuale, in un rituale di avvicinamento complesso fra specie differenti. L’istinto lo spinge però a proteggerlo, un istinto paterno represso da sempre, forse, o uno spiraglio per superare un’anaffettività ormai radicata. Con il passare dei giorni, privi ormai del rassicurante ma immobilizzante sapore della routine, si trasformerà in un insospettabile coraggioso protettore di Ciro, arrivando a sfidare i nemici del piccolo, potenti e sanguinari. Un dialogo fra età negate: da una parte l’infanzia negata nella sua spensieratezza per il bambino, dall’altra un’età adulta mai vissuta pienamente, ridotta a esprimersi nell’universo musicale, unico ambito in cui riesce a comunicare con gli altri. Due famiglie ostili alle spalle, il professore e Ciro abitano con sempre maggiore scaltrezza una Napoli cangiante, splendente durante il giorno, misteriosa con il calare di una notte che dialoga con una dimensione sotterranea, nascosta tanto quanto queste due anime avvicinate dal caso.
Se il protagonista si prende rischi che svelano prima di tutto a sé stesso un coraggio che non credeva gli appartenesse, Andò prosegue un suo racconto garbato e in sottrazione, in cui la tensione gialla non è mai esibita, con un suo progredire vagamente démodé, come le illustrazioni di interni eleganti sulle copertine dei Gialli Mondadori degli albori. Silvio Orlando è una figura rassicurante, incapace di nascondere una naturale empatia, ancora prima che il professore si liberi dalla sua taciturna diffidenza.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito