I pinguini di Mr. Popper, la recensione del film con Jim Carrey
Il racconto per bambini scritto da Richard e Florence Atwater, fa da libera ispirazione al film di Marc Waters, dove un uomo (Jim Carrey), completamente preso da sé e dal suo lavoro, ritrova la complicità con i figli e la ex moglie grazie ad un insolito regalo

I pinguini di Mr. Popper, la recensione del film con Jim Carrey
Guarda come dondolo. Ciò che funziona in una commedia recitata da pinguini è dondolare come loro. Tutti gli stratagemmi sono resi noti, tutti i buoni sentimenti sono necessari, l'attore è perfetto, i sei "frac" (in un inganno compiuto tra i veri e di computer grafica) sono scongelati al punto giusto. I pinguini di Mr. Popper è un gelato fuori stagione, un piacere classico.
Il racconto, quello per bambini scritto da Richard e Florence Atwater nel 1938, fa da libera ispirazione al lavoro diretto da Mark Waters, dove un uomo (Jim Carrey), completamente preso da sé e dal suo lavoro, ritrova la complicità con i figli e la ex moglie (Carla Gugino) grazie ad un insolito, inaspettato e ingestibile regalo recapitato da quel vecchio genitore esploratore, conosciuto solo via radio. Il nostro protagonista si presenta senza maschere o costumi, con quell'innata capacità di essere preso sul serio nello spasso, e quella multiforme gamma espressiva occhi/zigomi/bocca che è appropriata (più di molte altre volte) ad una simile "straordinaria" convivenza.
I pinguini così lontani nella loro marcia antartica, così esilaranti nella subdola formazione militare di Madagascar, ci hanno abituato (a volergli) bene. Qui Mark Waters indugia senza fastidio su una tenerezza di fondo e una fisicità fatta di rumori e danni collaterali, che include l'arredamento dell'attico di Park Avenue, gli increduli visitatori e i bisogni fisiologici inopportuni. L'indesiderato pacco di cui liberarsi in fretta, attraverso "caccia e pesca", "fauna marina" e "ufficio d’igiene", diviene improvvisamente desiderabile, quando i giudici più severi (i figli) non vedono l'ora di suonare il campanello di casa di papà. Ed è forse proprio questa la sfida maggiore di Popper, riuscire a spettacolarizzare con scivoli d'acqua, piste di pattinaggio, e tanta neve, non solo il vasto Museo Guggenheim, ma le quattro mura domestiche. Quello spazio mai superfluo di riavvicinamento famigliare, che diventa possibile grazie ad un'avventura surreale.
Quello di Carrey con i sei pennuti di mare, che non sanno volare ma si imbambolano guardando Chaplin, è un percorso netto, un po' perché tracciato dal repertorio più tradizionale, un po' perché, insieme a poche gag geniali, mantiene una bilanciata fantasia di fondo, in grado di divertire ed emozionare. Quella buona fantasia di cui forse fanno poco parte i nomi dei pinguini (Mordicchia, Urlacchia, Puzzoso..simili anche in inglese), a cui invece certamente appartiene la segretaria Pippi di Mr. Popper, che parla solo con parole con la "p" (e in originale è un vero diletto linguistico).
Cosa si richiede pertanto a un film così? Umorismo da "pesci fuor d’acqua"? C'è! Una coreografia di danza quasi perfetta? C’è! L’affetto padre/figlio, uomo/donna, uomo/pinguino, pinguino/pinguino? C'è!
Una rocambolesca fuga finale? Non poteva mancare.