I misteri del Bar Étoile: la recensione del film
Dominque Abel e Fiona Gordon portano avanti un'idea di cinema unica e riconoscibile, nella quale slapstick e clownerie giocano col surreale e con la miseria della vita. Recensione di I misteri del Bar Étoile di Federico Gironi
Siamo in Belgio, e non in Finlandia, ma il mondo di I misteri del bar Étoile, quello di questo nuovo film della coppia Abel/Gordon, è un po’ lo stesso dei film di Aki Kaurismaki. Un mondo fatto di minimalismo, di una certa quale afasia, di un’umanità ai margini e di locali spogli e un po’ squallidi nei quali questa umanità si ritrova nel silenzio e nell’alcool.
Uno di questi locali è appunto il bar del titolo, l’Étoile Filante. Lì lavora come barista un uomo di nome Boris, ex attivista che ha compiuto anni addietro un non meglio specificato attentato, assieme alla sua compagna giapponese Kayoko e al loro amico Tim. Quando un uomo rimasto ferito e mutilato in quell’attentato lo trova e vuole ucciderlo per vendicarsi, i tre trovano in uno strano tipo solitario, Dom, perfetto sosia di Boris, il modo per risolvere i loro problemi: ma le cose non saranno così facile, anche perché, preso Dom a lavorare nel bar e sottratto alla sua vita quotidiana, sulle sue tracce si metterà l’ex moglie Fiona, una meticolosa e strampalata detective.
Non fatevi ingannare da queste poche righe di trama, giacché il giallo o il nero, in questi film, contano ben poco. E lo scambio di persona e di esistenze tra Boris e Dom, e il gioco di equivoci e situazioni bizzarre che questo andrà a generare, è quasi solo un pretesto affinché Dominique Abel e Fiona Gordon portino sullo schermo la loro unica e inconfondibile idea di cinema. Un’idea per la quale su questo scenario alla Kaurismaki si innestano situazioni che giocano con lo slapstick più esasperato o raffinato (quello che fa proprie le lezioni di geni come Buster Keaton e Jacques Tati), con la clownerie pura (che è il mondo dal quale questa coppia di stralunati cineasti proviene), con un’idea di ritmo e di musica e di colori che è stilizzata e sregolata al tempo stesso.
Abel e Gordon chiedono allo spettatore di stringere un patto, stimolano una cooperazione che faccia sì che lo sguardo superi la superficie. In questo modo, accettandolo, ci si accorge della tragedia e della malinconia che si cela dietro lo humor e la buffoneria, e si può apprezzare il discorso - anarchico quanto quello relativo alla forma e all’immagine - che riguarda il rifiuto di piegarsi (dentro e fuori dal racconto) alle logiche funzionaliste e performative delle nostra società.
I personaggi di questo film sono tutti, appunto, marginali se non addirittura inutili, quasi disfunzionali, rispetto ai meccanismi tradizionali della produzione, ma sono sempre funzionalissimi agli inutili e pretestuosi disegni della trama e della messa in scena. Rivendicano, in questo modo, un’eccentricità che è artistica, certo, ma anche esistenziale.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival