I figli della notte: recensione del thriller opera prima di Andrea De Sica

30 maggio 2017
2.5 di 5
3

Fra dramma di formazione e cinema di genere.

I figli della notte: recensione del thriller opera prima di Andrea De Sica

Un collegio in alta montagna, isolato dal resto del mondo, è cornice e vero protagonista dell’opera prima dell’allievo del Centro Sperimentale Andrea De Sica. I figli della notte è la storia di formazione e iniziazione di un ragazzo di una famiglia benestante, parcheggiato come i suoi compagni in una scuola, fabbrica della nuova classe dirigente. Piena di regole e di segreti, tiene a freno i propri alunni con un guinzaglio molto corto, opprimendoli con un clima di terrore. Una vera prigione che nega l’utilizzo di internet, concede solo sporadiche telefonate; occasione per ricreare un’atmosfera sospesa nel tempo, poco contemporanea, in cui sviluppare una storia piena di riferimenti e referenti masticati e rielaborati con passione da De Sica. Sue anche le musiche, in cui mette a frutto il talento ereditato dal padre Manuel, scomparso alcuni anni fa, a cui il film è dedicato.

I figli della notte è Interamente girato negli splendidi scenari dell’Alto Adige, in un hotel dismesso di fine ‘800 che ricorda l’Overlook Hotel di kubrickiana memoria. Non mancano echi del cinema di Lynch, perfino cromatici, in una favola nera da cui sono totalmente assenti i genitori, troppo impegnati a far soldi e progettare eredi capaci di fare altrettanto; gli unici adulti sono gli insegnanti della scuola, vestiti tutti uguali, spesso anche loro ex alunni della scuola, sorta di replicanti col compito di formare il manager perfetto, istigandoli alla trasgressione, al peccato originale necessario per prepararli al cinismo del mondo spietato che li aspetta.

Proprio questa micro società è una delle dinamiche più interessanti de I figli della notte, una piccola Sparta in cui la violenza - psicologica e non - ha un ruolo importante, in cui i rapporti troppo stretti ed esclusivi con i compagni sono scoraggiati in nome di uno spirito di corpo, della lobby oligarchica. Come ogni favola un ruolo importante lo riveste la fuga, lo spingersi verso l’ignoto e il proibito, rappresentato qui da un locale di spogliarelli in cui vanno il giovane protagonista, Giulio, insieme all’inseparabile amico Edoardo. Hanno trovato la strada come novelli Pollicino, e Giulio ha anche dato un bel morso alla mela del peccato, la bella prostituta ventenne Elena.

Se De Sica dimostra di saper gestire il ritmo di una storia di genere, costruendo un’atmosfera intrigante senza essere troppo derivativa, convincono meno alcune interpretazioni e qualche dialogo stonato, sospendendo in alcune occasioni l'immedesimazione e la credibilità dello sviluppo narrativo.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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